Prosa
DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

A Trieste l'ultimo capolavoro verdiano

A Trieste l'ultimo capolavoro verdiano

Colgo al volo, gironzolando nel foyer del Teatro Verdi, i perplessi discorsi di alcune mature “babe” (così i triestini DOC chiamano le signore chiaccherone). «No so, no capisso...no el me par gnanca (neanche) Verdi, sto Falstaff, non el me somegia (somiglia) par gnente al Nabucco, al Trovatore, a La traviata» .... Strani commenti, per quelle che hanno tutta l'apparenza di abituali frequentatrici d'opera; e che nondimeno mettono in evidenza come l'ultimo capolavoro verdiano sia in grado ancora di spiazzare qualcuno. Anche qui sta l'immenso genio di Verdi: dopo tanta e lunga carriera, alla soglia dei settant'anni, scrive Falstaff, che appare il vertice assoluto della produzione verdiana: lavoro libero, sperimentale, con un solo protagonista e tanti comprimari, sgombro dei soliti numeri chiusi, pensato come un fluire musicale assolutamente fresco e meraviglioso, e con una grande orchestra trattatta come un ensamble cameristico. Nei loro commenti le “babe” hanno però apprezzato i cantanti, ed avevano buona ragione: perchè la compagnia radunata al Verdi per questa gloriosa chiusura di stagione non mostra che pochi, minimi difetti. Cominciamo dal protagonista: Alberto Mastromarino scava bene e domina il personaggio, senza mai andare sopra le righe, affrontandolo con la sua consueta umoralità ed il pieno dominio del palcoscenico. Buon fraseggio generale (però con qualche mezzavoce trascurata, ma eravano a fine recite...), giusto colore alla parola, voce sempre solida e ponderosa Se vogliamo fare i difficili, manca solo al personaggio, in qualche momento, quella sottile melanconia vespertina che musica e le parole stesse suggeriscono.
Vocalmente assai autorevole e ben calibrato nella recitazione il Ford di Domenico Balzani, anche se il monologo delle corna – fulcro e pagina centrale del personaggio, saturo di spunti riflessivi – potrebbe essere risolto dal baritono sardo con qualche sfumatura in più. Eva Mei affronta Mrs. Alice con la giusta dose di pepe, vocalmente ineccepibile per la naturale propensione belcantistica; Meg Page viene ben risolta dalla brava Antonella Colaianni; Mina Yamazaki è una Nannetta fresca e carnosa, con la sola menda di qualche secchezza negli acuti, cosa che sminuisce la luminosità di «Sul fil d'un soffio etesio»; quanto a Giovanna Lanza, propone in scena una Quickly perfetta, arguta e vaporosa, muovendosi senza vacui macchiettismi.
Un giovane e ben preparato tenore coreano, Ho-Yoon Chung, è Fenton: il ruolo gli si confà appieno, grazia e freschezza non gli mancano. Giustamente lodevole Cristiano Olivieri nei panni del vecchio Cajus; Gianluca Sorrentino (Bardolfo) e Luciano Leoni (Pistola) completano bene il cast, assolvendo adeguatamente anche il pesante impegno recitativo loro richiesto.
Sul podio sale un altro giovane artista, vale a dire il direttore spagnolo José Miguel Pérez-Sierra, ad affrontare per la prima volta Falstaff. Impegno immane ma assolto senza sbandamenti, attenendosi alla tradizione più consolidata e muovendosi con intelligenza, criterio e sopra tutto con squisita musicalità. Restando agli esempi più famosi, nessun richiamo agli incalzanti ritmi toscanini, preferendo tempi che mettono a loro agio gli interpreti; ma pure nessun indugio verso i mille preziosismi strumentali a raffreddare l'azione. In definitiva: ecco servita sul piatto una narrazione sempre scorrevole, un procedere fantasioso e pulsante, trasparenza nei colori, massima scioltezza nei concertati.
Quanto alla regia di Mariano Baudoin, procede con disinvoltura e sensatezza, creando uno spettacolo colorito, stringente, sempre in perenne movimento. Il regista napoletano rispetta in modo preciso il testo e cura al massimo i dettagli di una recitazione che risulta efficacissima e trova molte belle intuizioni nei particolari. Purtroppo si concede anche delle libertà che non sempre convincono, neppure se spiegate nelle lunghe note di regia. Passi per il paggio Robin, il quale come in Shakespeare è il futuro Enrico IV a scuola di vita dal vecchio epicureo (e tale a noi si mostra, manto scettro e corona, alla fine dell'opera). Ma perchè sostituire l'oste della Giarrettiera con una vecchia megera (figura della Morte, alla fine); perchè affollare la scena di benandanti, poveri contadini e pastori del Friuli del '500, che nella componente femminile sostituiscono – malissimo - le eteree fate nel parco di Windsor; ed infine perchè poi far morire Falstaff sotto un bianco lenzuolo, immobile salma sullo sfondo del rutilare vorticoso di «Tutto nel mondo è burla»? In compenso, meritatissime le lodi alle deliziose scenografie di Nicola Rubertelli, gradevoli invenzioni poste sotto un cielo di candide lenzuola che volutamente riecheggiano le pareti del londinese Globe Theatre; e lo stesso ai sapidi costumi di Zaira de Vincentiis, che miscelano con curiosa  nonchalance reminescenze elisabettiane ed ottocentesche.

Visto il 05-07-2015