Composto da tre atti unici molto diversi l’uno dall’altro sia per temi che per registro linguistico, La trilogia degli occhiali, ci racconta tre storie diverse, tre realtà differenti accomunate non solo dall’elemento-chiave “gli occhiali” che contraddistingue tutti i personaggi in scena, ma anche e soprattutto dalla scelta di dar voce ancora una volta , com’è nello stile registico di Emma Dante, al mondo degli ultimi.
In Acquasanta, primo dei tre atti, assistiamo al monologo straziante ma a tratti divertente, del mozzo Spicchiato (interpretato da un bravissimo Carmine Maringola) che in uno strettissimo napoletano mette in scena il proprio dramma. Abbandonato dai compagni sulla terraferma perché ritenuto pazzo, Spicchiato immagina di stare sulla prua arrugginita di una nave, e in preda al suo delirio ricorda, immagina e racconta di salvataggi immaginari, di tempeste, di soprusi e prese in giro dando voce ora al capitano ora ai compagni aguzzini, relegato in un luogo sconosciuto, lontano dall’unica cosa che ha sempre amato nella sua vita, il mare.
Ne Il castello della Zisa, secondo capitolo della trilogia, il mondo degli ultimi è raccontato attraverso i gesti scomposti e rallentati di Nicola (Onofrio Zummo), ragazzo ritardato, affidato alle cure di due suorine solerti (Claudia Benassi e Stephanie Taillandier), a tratti quasi irritanti, che cercano di stimolarlo e punzecchiarlo in ogni modo. Nicola è un personaggio cieco che attraverso quegli occhiali che inforca e toglie continuamente ad un certo punto prova a ribellarsi alla sua condizione di passività immaginando e sognando mondi sconosciuti abitati da demoni contro i quali combattere e scagliarsi. Se il primo capitolo era quasi un flusso inarrestabile di parole, questo secondo capitolo si caratterizza, al contrario dalla quasi totale assenza di parola, una vocalità sussurrata, una serie quasi incomprensibile di suoni e parole spezzate, prese a prestito dal siciliano e dal francese, che fanno da filo conduttore all’intera vicenda.
Il terzo episodio di questa trilogia, Ballarini, è un atto in cui la musica conta più della parola, in questo caso, totalmente assente; protagonista di quest’ultimo capitolo una coppia di anziani (Elena Borgogni e Sabino Civilleri) innamorati, vagamente beckettiani, che tra musiche e balli percorre a ritroso i ricordi di una vita insieme per poi ritornare tragicamente in un presente grigio e senza speranza.
La trilogia degli occhiali è senza dubbio uno spettacolo di forte impatto in cui le emozioni e le sensazioni ci arrivano in maniera diretta e senza filtri; uno spettacolo che ci appare come l’inizio di un nuovo percorso di ricerca espressiva, attraverso nuovi linguaggi e nuovi registri stilistici senza mai, tuttavia, allontanarsi troppo dallo stile inconfondibile che caratterizza il lavoro di Emma Dante. Un cast come sempre all’altezza per capacità espressiva e versatilità che dimostra ancora una volta la capacità e l’abilità della regista palermitana nel dirigere e plasmare i propri attori.