Recanati (MC), teatro Persiani, “La trilogia della villeggiatura” di Carlo Goldoni
I SENTIMENTI NELLA VILLEGGIATURA
Negli anni Novanta Massimo Castri sembrava avere detto tutto sulla Trilogia goldoniana. E invece no, ecco uno spettacolo di rara perfezione e godibilità che rivela aspetti nuovi ed attuali di quei testi.
Toni Servillo è un regista che sembra agire per sottrazione, concentrandosi sull’essenziale sia per indole caratteriale che per scelta stilistica, registica e interpretativa. Asciuga e sfoltisce i testi, va al nucleo delle storie. E altrettanto fa di scenografia e recitazione.
Nelle messe in scena precedenti, tutte splendide, aveva tolto alle “False confidenze” di Marivaux e al “Misantropo” di Molière gli orpelli scenografici, le decorazioni e le infiorescenze verbali, al “Sabato, domenica e lunedì” di De Filippo quella napoletanità scontata, pittoresca e folkloristica. Con risultati encomiabili, ottimi, a cui pubblico e critica hanno dato giusti riconoscimenti.
Nella Trilogia della villeggiatura il lavoro di Servillo è, come sempre, misurato ed elegantissimo, cesellato in una elaborata naturalezza, realizzato con indescrivibile precisione, nei minimi particolari, senza purtuttavia averne l’aria, anzi parendo disinvolto, quasi casuale: come se, anziché una rappresentazione, fosse la vita stessa ad essere sul palcoscenico. La scena è essenziale, la recitazione giocata su gesti contenuti, impercettibili moti del sopracciglio e dell’occhio, infinite sfumature nelle voci. Qui l'italiano goldoniano acquisisce una lievissima venatura di napoletano, come un retrogusto, delicatissimo, quasi impercettibile.
I tempi sono sveltiti, i ritmi impressi sono velocissimi, insistendo sulla tinta comica. Una rigorosa macchina narrativa, perfezionata in un anno di turnè, che non cede per tutta la durata dello spettacolo e incatena l’attenzione dello spettatore.
Confrontandosi con la Trilogia goldoniana, Servillo si è concentrato sull’interiorità dei personaggi, sui loro sentimenti, mettendo in secondo piano smanie, avventure e ritorno. O meglio, trasformando quel senso di attesa, quella futilità del tempo in villa e quella lacerazione disillusa in un modo di vivere i sentimenti. In primo piano Servillo pone le trame individuali interiori, piuttosto che la coralità dell’affresco dell’epoca consueto in Goldoni. E la scelta è vincente: lo spettacolo ne guadagna in snellezza e divertimento. Si ride davvero tanto, ma il cervello è sempre in funzione.
L'elemento trainante della vicenda è Giacinta, esaltata dalla regia che la pone sotto una lente di ingrandimento che consente di evidenziarne al massimo l’introspezione. La prima parte pone le premesse descrivendo in modo narrativo e puntuale, la seconda appare come una parentesi di sospensione che allaga il cuore della giovane allungata sulla sdraio col cappello di paglia in viso, eclissata al mondo ma con l'animo in tumulto, e la terza diventa l'acmè della vicenda: Giacinta si trova davanti al dilemma se sposare Leonardo, a cui è stata promessa, oppure Guglielmo, di cui crede di essere innamorata. La scelta di Giacinta di “aprire il cassetto della ragione” e partire per Genova con Leonardo non è necessariamente un atto di sottomissione al volere paterno, al fidanzato-promesso sposo ed all’uomo in generale da parte della donna, quanto piuttosto un momento di crescita, di accettazione razionale e matura del proprio destino e della propria vita. L’abbraccio finale di Leonardo e Giacinta appare sì quello di due persone che vivono al di sopra dei propri mezzi, ma è soprattutto l'abbraccio di due persone che amano e soffrono per amore.
La scena di Carlo Sala, nella prima parte, consente di avere contemporaneamente due ambienti grazie a un semplice telone con tre aperture ed alle luci: la casa di Leonardo nelle due porte laterali più piccole e la casa di Filippo nell'apertura ampia al centro; qualche sedia e le valigie completano l'arredo. Poi nella seconda parte uno spazio aperto, quasi metafisico, strehleriano per quel sole che tramonta e da nozze mozartiane per il giardino-selva. Nella terza parte si ritorna nelle stanze dell'inizio, per poi chiudere la vicenda nella casa di Costanza, con un lettuccio sopra il quale pende una luce al neon da un groviglio di cavi elettrici, il contemporaneo che incombe.
Le Smanie sono nel fervore primaverile, le Avventure nel torpore estivo con frinire di cicale e il Ritorno in autunno, tra i tuoni che rombano lontani, la pioggia che bagna gli ombrelli neri e i nasi che colano per il raffreddore, obbligando ad usare fazzoletti.
Rifiniti nei dettagli, elegantissimi e di stoffe preziose i costumi di Ortensia De Francesco. Contribuiscono al risultato di insieme le luci perfette di Pasquale Mari e il suono appropriato di Daghi Rondanini.
I personaggi sono in attesa del futuro, tesi a superare i disagi del presente, intanto consumato nell’attesa, soprattutto dal punto di vista sentimentale. Come quelle valigie, fatte e disfatte in continuazione, che creano un senso di precario, di sospensione, nella vita come nei sentimenti. I protagonisti non sono i soliti borghesi preoccupati più dell’apparenza che delle verità interiori. La borghesia che Goldoni voleva mettere alla berlina per la smania di gareggiare in fasto con i soggiorni campestri dell’aristocrazia qui viene guardata non tanto nella definizione storica e sociale quanto piuttosto nella sua umanità, nelle incertezze e nelle fragilità di ogni carattere, incapaci di dominare sia la storia che le proprie vicende personali.
Come sempre, Servillo impone una profonda rilettura dei testi di cui si occupa, scandagliati con infinita intelligenza critica. La singolarità strutturale delle tre commedie non viene eliminata, ma il regista si rivela estremamente sensibile nel rivolgere la sua attenzione particolarmente alle psicologie ed ai sentimenti, rivelando l’indefinitezza interiore di ogni personaggio. E di ogni uomo.
Straordinaria la compagnia degli attori, tutti in perfetta sintonia, ottime individualità fuse in un prezioso affiatamento. Paolo Graziosi è lo svagato Filippo, Anna Della Rosa la volitiva Giacinta, Andrea Renzi l'aitante Leonardo pieno di fascino, Tommaso Ragno l'ambiguo e viscido Guglielmo, Gigio Morra il concreto e razionale Fulgenzio, Betti Pedrazzi l'esilarante Sabina, Eva Cambiale la fresca Vittoria, Chiara Baffi la furba servetta Brigida, Giulia Pica l'arrivista Costanza, Marco D'Amore un Tognino un po' scemo e Mariella Lo Sardo l'innamorata Rosina. Toni Servillo tiene per sé il ruolo dello scroccone Ferdinando, sottolineandone la cattiveria, meschino profittatore che arriva a mettere pubblicamente in ridicolo la “vecchia” Sabina, innamorata di lui. Con loro gli immancabili servi, Francesco Paglino, Rocco Giordano e Salvatore Cantalupo.
Teatro pieno, moltissimi giovani (risultato di una politica oculata: i giovani sono il pubblico di domani), risate ed applausi. E le tre ore volano via come un attimo. All'uscita si cercano le date della turnè per il desiderio di vedere ancora una volta, prima possibile, questa Trilogia.
Visto a Recanati (MC), teatro Persiani, il 28 ottobre 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Piccolo Teatro - Teatro Grassi
di Milano
(MI)