E’ il trionfo di Daniel Barenboim. Il Tristan und Isolde – e per favore evitiamo la trasposizione italiana a tutti i costi – in scena alla Scala è l’ennesima dimostrazione della bravura del maestro argentino. La sua maestria sul podio, come se non ci fosse un domani, come se ogni rappresentazione fosse l’estasi totale dello spartito, rende l’opera perfetta, nella sua compiutezza possibile. I tre atti in cui si svolge la storia d’amore e di morte dei due eroi scorrono veloci, senza alcuna incertezza. Il libretto scritto dallo stesso Wagner colloca le situazione temporali in combinazione con l’esecuzione musicale. Cinque ore di note perfette si riversano nel lungo scroscio di applausi finali che potrebbe durare anche in eterno. Tristan und Isolde è il monumento all’amore supremo e a quell’estasi struggente impossibile nella vita ed esaltata dal cromatismo musicale del compositore tedesco.
Stesso discorso vale per tutti gli interpreti: Waltraud Meier è la splendida interprete wagneriana di sempre che in Isolde ritrova tutta la sua femminilità e si concilia con una voce avvolgente. Portentoso anche il re Meleke di Matti Salminen, mentre lascia qualche perplessità in più Robert Gambill che interpreta un Tristan troppo spesso sopraffatto dagli strumenti.
La scenografia firmata da Richard Peduzzi può suscitare per l’austerità e la semplicità, che risultano però funzionali al testo.
Nel racconto dalla sinopsi degli onori e degli eroici antefatti, la produzione scaligera a volte si distacca dal testo originario. Così se Wagner non lascia trasparire alcun coinvolgimento carnale tra Tristan e Isolde e l’impeto è espresso solo a parole, la regia di Patrice Chéreau prende qualche libertà : il primo atto si chiude con i due protagonisti che si baciano con voluttà e passione e nel secondo atto lo spegnimento della torcia che da il via libera a Tristano è un violento lancio della candela dall’alto.
Senza dubbio è un'opera che può risultare gravosa per i non appassionati, tutti gli altri non potranno che amarla dalla prima all'ultima nota.
Quando cala il sipario si lascia l’abbacinante salone scaligera divorati dalla stessa passione dei protagonisti, senza aver bevuto alcun filtro magico. Perché basta molto meno: la bacchetta di Barenboim.
8 gennaio 2009, teatro alla Scala Milano
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)