Il filtro d’amore che Brangäne sostituisce al filtro di morte alla fine dell’atto primo di Tristan und Isolde non è la causa della passione che travolge i protagonisti, bensì semplicemente lo strumento scelto dal destino per rivelare loro il sentimento viscerale che già li possiede, destinato a manifestarsi nel corso dell’azione come una necessità ineluttabile, come una forza cieca più forte dell’amicizia e della lealtà, come un’energia incoercibile che travolge tutto ciò che tocca fino all’ecatombe conclusiva. La straordinaria partitura, stesa da Wagner tra il 1857 e il 1859 ed eseguita per la prima volta nel 1865, è dunque priva di un vero e proprio sviluppo: ogni cosa è scritta sin dall’inizio, e nessuno dei personaggi ha modo di sfuggire all’intreccio fatale d’amore e di morte. La tecnica compositiva tocca vertici arditissimi e dischiude inedite prospettive all’arte dei suoni, ma il risultato è un’opera che, sebbene ‘dotta’ come poche, vanta un’eccezionale capacità comunicativa ed è capace di coinvolgere ed emozionare il pubblico.
Il San Carlo di Napoli ripropone in questi giorni una fortunata messinscena del capolavoro wagneriano, insignita del premio Abbiati per la stagione 2004-2005. La regia di Lluìs Pasqual, ripresa per l’occasione da Caroline Lang, si segnalò a suo tempo per la rinuncia alle lusinghe dell’astrazione e per il recupero di una dimensione schiettamente narrativa, ancorché scevra dal semplice ricalco naturalistico. La scelta, che appare ancora attuale ed efficace, mette ottimamente in risalto l’individualità dei personaggi e fa emergere la sostanza semplice e terribile della loro vicenda. Bellissime le scene di Ezio Frigerio, sempre dominate da un mare metallico e cangiante e da un cielo vivo, vero, trascolorante, ora percorso dai lampi della tempesta, ora trapuntato di stelle, ora incendiato dal fuoco del tramonto. Ciascun atto ha una sua ambientazione caratteristica: il primo è dominato dalla prua di una gigantesca nave che solca le onde, il secondo da una mobile foresta notturna che accoglie nel proprio grembo gli amanti, il terzo da una sorta di aereo nosocomio. I costumi di Franca Squarciapino attraversano impunemente le epoche storiche come per ribadire il valore universale della storia di Tristano e Isotta: il primo atto adotta fogge medievali, nel secondo compaiono uniformi e abiti da sera di gusto ottocentesco, mentre nel terzo siamo trasportati in un Novecento militare con tanto di divise mimetiche.
L’ottima riuscita dell’allestimento sancarliano, però, si deve anche e soprattutto alla qualità degli artisti vocali che la interpretano. Maestosa e impeccabile Violeta Urmana nel ruolo di Isolde: il soprano lituano utilizza senza risparmio la sua voce potente e sicura e riesce così a restituire tutte le sfaccettature della principessa d’Irlanda, che è insieme maga, amante e madre. Torsten Kerl, specialista del repertorio wagneriano, ha un timbro caldo di grande bellezza; la sua prova è segnata da qualche discontinuità, ma nei momenti più intensi e impegnativi del secondo e del terzo atto il canto e l’interpretazione risultano pienamente convincenti. Nei panni di re Marke l’ottimo Stephen Milling, dotato di ampio volume, omogeneità e perfetta intonazione. Molto bravi anche Jukka Rasilainen, che tratteggia a dovere il carattere irruento e generoso di Kurwenal, e Lioba Braun, che interpreta la parte di Brangäne con sicuerezza ed eleganza. Completano il cast Alfredo Nigro (Melot e un giovane marinaio), Marcello Nardis (un pastore) e Italo Proferisce (un timoniere).
Sul podio Zubin Mehta in forma smagliante. La sua lettura di Tristan und Isolde è intensa senza essere plateale e diventa quasi pudica quando la musica è chiamata a scrutare nel mistero dell’amore. In una creazione in cui il flusso sonoro scorre senza soluzione di continuità, la guida del maestro indiano asseconda il mutare del respiro drammatico senza mai compromettere la chiarezza delle linee architettoniche e la coerenza dell’insieme. Guidata da un tale generale, la compagine strumentale del San Carlo diventa un esercito disciplinato e ordinatissimo, le cui fila si assottigliano e si ispessiscono con istantanea esattezza; le combinazioni timbriche più fantasiose e complesse immaginate da Wagner vengono restituite senza sbavature, e gli impegnativi assoli risuonano con nitidezza e proprietà stilistica. Il pubblico, numeroso e attento, tributa applausi calorosissimi a una produzione di alta qualità, che riporta il San Carlo a livelli artistici degni della sua illustre tradizione.