Danza
TRISTI TROPICI

Tristes Tropiques. Plus que tristes....

Tristes Tropiques. Plus que tristes....

Tristi tropici. Pure troppo.

La luce si insinua a fatica fra la rarefazione di una fitta atmosfera nebulosa, come filtrata dai rami degli alberi, ed in una scenografia pressochè in sé fisicamente inesistente si svela man mano un'elegante costruzione dei non-ambienti, dal nero al bianco, come involucri illusori in cui le figure umane spesso diventano puro disegno, a volte per contattarsi, quasi baciarsi, altre per inscenare una idea di vita quotidiana.
Sono alcune delle sensazioni provocate dal lavoro di ricerca tersicorea di Virgilio Sieni sul memorabile testo di Claude Lévi-Strauss, Tristi tropici. Quando un riferimento viene fatto in maniera così esplicita, motivata e significativa, si è autorizzati a considerare il rapporto con la scrittura come parte integrante dell'opera.
Lévi-Strauss trascorse quattro anni nelle foreste del Mato Grosso, ma non ne scrisse una sola parola fino a quindici anni dopo, quando nel 1955, e per motivi variamente incidentali, pubblicò l'opera in cui ricordò ogni pericolo, timore e complessità dei suoi incontri con le civiltà indigene, remote ed incorrotte, fra cui sia l'etnologo che l'uomo si erano addentrati.

Fra le molteplici chiavi di lettura, della narrazione mi piace evidenziare quella di un sotteso un senso di colpa (tipicamente occidentale) per un mondo che sarebbe scomparso, e di una sottomissione (da scienziato) alla legge dell'osservatore, quella che con grande ambiguità fa dello stesso ricercatore un soggetto attivo della devastazione della realtà che vorrebbe invece indagare.
È la stessa ragione per cui esplicitamente usa un incipit assoluto come «Odio i viaggi e gli esploratori, ed ecco che mi accingo a raccontare le mie spedizioni». Ed è un “odio”, come per Jean-Jacques Rousseau, che si espande al senso di sdegno per una civilizzazione senza anima che -come intuisce già- travolgerà le tribù dei Tupi-kawahib, dei Bororo, dei Nambikwara e dei Caduvei.

La desolazione ed il rigetto per l'indesiderato imarbarimento esogeno, le mille occasioni per i dettagli che sbucano fuori improvvisi ed imprevedibili come nel caos in cui si comprende esserci un ordine nascosto, le emozioni e le osservazioni comparative strutturaliste, tutto viene riassunto alla perfezione da una nota osservazione di Emmanuel Lévinas, secondo cui «L´ateismo moderno non è la negazione di Dio, è l´indifferentismo assoluto di Tristi tropici. Penso che sia il libro più ateo che sia stato scritto nei nostri tempi, il libro più disorientato e disorientante». L'indifferentismo è anche quello per il quale si sa che, per quanto l'uomo possa essere potentemente legato alla sua potenza, la terra gli sopravviverà.

Nella traduzione scenica di Sieni, la lettura di Lévi-Strauss procede fra parole mozzate, quasi solo suoni disarticolati che non vogliono essere compresi, immagini che in maniera prevalentemente umbratile creano l'incontro tra la crudezza del quotidiano ed alcuni elementi universali come l'amor filiale o quello dettato dalla necessità di sopravvivenza, musica claustrofobica, e con la scomparsa anche simbolica del linguaggio e della parola, tranne che una sola volta, sussurrata ad un orecchio, e forse non a caso seguita subito dalla caduta di chi la riceve.

In verità, però, questi elementi cominciano presto a far parte di una categoria particolare, ovvero quella delle letture forzate, che si vanno a cercare soltanto perchè ci si aspetta di cercare proprio fra quelle: se ci si interroga sui messaggi di Lévi-Strauss, si resta senza risposte, perchè manca un punto di contatto vero, si sente che questi segni non vengono fuori dal palcoscenico, ma dall'aspettativa di chi li ricerca.
Oltre ai tratti sopra descritti, la partitura da illustrare resta insoddisfatta per mille percorsi ed infinite deviazioni, l'investigazione sul senso dell'altro, la saggezza implicita nelle piccole società indigeni, l'evidenza significativa degli Interventi Estetici sul Corpo come disperata ricerca di umanità, la linea fra i Tropici vuoti degli indigeni americani e quelli pieni di una India appena compresa.... ma certo sarebbe una lista troppo lunga, ed ovviamente bisogna tener conto soltanto di ciò che c'è, ovvero della volontà di presentare un lato familiarmente animale e nostalgico, ma soprattutto femminile, come l'occasione perduta “che era stata offerta all'Occidente di scegliere la sua missione”.

Troppo poco, per accostarsi a Lévi-Strauss, insomma, ed oltretutto con la stessa ed ambigua, autoreferenziale comprensione, causata da quella stessa legge dell'osservatore (spettatore) che aveva reso tristi i Tropici.

Visto il 17-11-2010
al Mercadante di Napoli (NA)