Non manca di suggestione questo allestimento di Turandot, creato per OperaLombardia da Giuseppe Frigeni, che ha curato, oltre alla regia, anche luci e scene: un allestimento tutto sommato tradizionale, ma stilizzato al massimo, che mantiene sì un legame con la Cina imperiale nei costumi, ma che non ha richiami specifici alla grande Città Proibita, così da incentrare l’attenzione sull’universalità della componente favolistica, svincolata da elementi spazio-temporali troppo specifici. L’atmosfera è cupa, sul fondo un sipario, aprendosi, fa filtrare luminosità dai colori pastello di indubbio fascino, il coro è posto ai lati della scena coperto quasi per metà dai lunghi gradini mobili che occupano tutto il palcoscenico, un grande cerchio diviso a metà, simile a una stilizzazione dello yin e dello yang, campeggia dall’alto; i movimenti di protagonisti e figuranti sono ridotti all’essenziale.
Le figure di Liù e Turandot risultano quasi complementari, due volti della stessa realtà femminile usata e usurpata dall’uomo: Calaf non guarda mai in viso la principessa, non è innamorato di lei, bensì del potere che ella simboleggia, le nega persino il fatidico bacio e sul finale quasi la ignora, pensando solo ad ascendere i gradini che lo porteranno al trono, mentre ella si accascia a terra riversa sul cadavere di Liù, vittima anch’essa dunque, come la schiava, dell’ambizione maschile.
Carlo Goldstein dirige l’Orchestra de I Pomeriggi Musicali con vigore, slancio e maestria: una bacchetta precisissima la sua, ma nel contempo dinamica, ricca di pathos e teatralità, alla costante ricerca della purezza del suono, soprattutto nei momenti di maggior liricità, e al contempo tesa verso una sonorità grandiosa, che nei momenti corali rasenta la solennità.
Teresa Romano è una Turandot dalla voce generosa, ma al contempo ricca di sfumature e di colori: la figura della principessa evidenzia, più che la tipica algida regalità chiusa in un mondo inaccessibile, tutto l’aspetto umano che la caratterizza come donna e che la farà poi cedere alle insistenze di Calaf; l’acuto svetta sicuro senza esitazioni e l’intonazione si rivela ineccepibile per una prova davvero di tutto rispetto. Al suo fianco troviamo il Calaf di Rubens Pelizzari, suadente e vigoroso: la voce ha un colore bellissimo ed è ricca di armonici, lo squillo è facile e piacevolmente sonoro, l’interpretazione a tratti intensa. Bella voce anche per la Liù di Maria Teresa Leva eccellente soprattutto nei piani e nei pianissimi, che risultano particolarmente intensi e vibranti. Ottimo il trio delle maschere: Saverio Pugliese, Pang, Edoardo Milletti, Pong e Leo An Ping, che spicca su tutti per tecnica, potenza e armonia di suono.
Buoni anche i comprimari, l’Altoum di Marco Voleri, il Timur di Alessandro Spina, il Mandarino di Omar Kamata, così come buona è apparsa la prova del Coro di OperaLombardia, ben preparato da Diego Maccagnola.
Teatro gremito e pubblico entusiasta che sul finale ha tributato a tutti una decina di minuti di applausi.