Firenze inaugura la nuova stagione 2013 nel segno di Wagner con la Valchiria stupefacente della Fura dels Baus e chiude la presente stagione con Turandot nel Nuovo teatro dell'Opera. Una Turandot annunciata come la ripresa dello spettacolo storico di Zhang Yimou, che debuttò al 60° Maggio nel 1997 per essere portata l'anno successivo a Pechino (messa in scena nella Città proibita) ed essere ripresa due volte a Firenze e altre due per Tournée in Giappone. La parziale inagibilità del Nuovo teatro dell'Opera ha imposto un allestimento semiscenico, un'operazione così intelligente e ben fatta che non ha fatto rimpiangere l'originale.
I costumi di Wang Yin restano impressionanti per fantasia e colori, tratteggiando un'opera favolistica nel segno di un oriente misterioso. L'orchestra è posizionata sopra il golfo mistico, chiuso. Marina Bianchi cura la mise en espace e utilizza la platea e lo spazio intorno all'orchestra; in fondo è posizionato il coro, dietro il velatino in cui vengono proiettate le immagini della rappresentazione nella Città proibita e di altri topoi cinesi, come l'esercito di terracotta quando il mandarino si rivolge al popolo di Pechino (videoproiezioni curate da Silvio Brambilla). A completare la parte tecnica le giuste luci di Luciano Roticiani.
L'acustica del Nuovo teatro è perfetta, anche se il posizionamento dell'orchestra all'altezza del palcoscenico e il mancato utilizzo di questo (coro e cantanti praticamente non superano il boccascena) non rendono piena giustizia alle possibilità dello spazio.
Si è apprezzata la direzione di Zubin Mehta, che conosce e ama questa partitura, resa con titanica forza ma calibrando i suoni nella fusione con le voci. Il Maestro accentua la forza drammatica della partitura, in alcuni momenti di potenza tellurica, e mantiene una tensione costante, sfruttando le suggestioni novecentesche pur mantenendo intatta la morbidezza del suono.
Jennifer Wilson è Turandot, la voce possente svetta negli acuti e resta importante nel registro medio, salvo restringersi nel grave. Jorge de Leòn è un Calaf sicuro e solido che cerca le sfumature nel canto nel tentativo di rendere i risvolti dell'animo del principe. Serena Daolio ha sostituito l'indisposta Ekaterina Scherbachenko e la sua Liù ha convito per la pulizia della voce e la freschezza dell'emissione sicura. Giusti vocalmente e nelle movenze Ping, Pang e Pong, rispettivamente Fabio Previati, Carlo Bosi e Iorio Zennaro. Autorevole e ieratico l'Imperatore di Enrico Cossutta che ha calcato con efficacia sugli afflati malinconici senza cadere negli stereotipi del ruolo. Appropriati Giacomo Prestia (Timur) e Konstantin Gorny (Mandarino). Con loro Leonardo Melani (Principe di Persia) e le due ancelle Laura Lensi e Giulia Tamarri, provenienti dal coro ben preparato da Pietro Monti. Ottima la presenza dei Ragazzi Cantori di Firenze preparati da Marisol Carballo, che sfilano in platea.
Teatro gremito e moltissimi applausi, soprattutto per Zubin Mehta. Pubblico curioso del Nuovo teatro che resta chiuso in attesa del completamento (a vantaggio del vecchio Comunale dove verrà allestita tutta la prossima stagione lirica) per cui questo allestimento è apparso come dentro una specie di “città proibita”. Una novità i sopratitoli in italiano e in inglese per favorire il pubblico straniero.