Grande energia, intelligenza sempre acuta, fantasia inesauribile, uno stile personalissimo ed una passione per il teatro che non conosce limiti. Neppure ora, alla bella età di 91 anni, avendo alle spalle 72 anni di attività indefessa.
Potrebbe riposare tranquillamente sugli allori Pier Luigi Pizzi, uno dei più famosi ed apprezzati registi – nonché scenografo e costumista dal taglio inconfondibile - di ieri e di oggi. Eppure, eccolo mettersi di nuovo in gioco con tredici giovani attori dell'Accademia Teatrale Carlo Goldoni, inaugurando la stagione 21/22 del Teatro Stabile del Veneto con Turandot, commedia che Carlo Gozzi presentò a Venezia nel 1762.
Una fiaba a lieto fine, che però cela un dramma
La Turandot di Gozzi, affidata come le altre sue 'fiabe teatrali' alla compagnia teatrale di Antonio Sacchi, si inseriva nella moda della chinoiserie che in arte e letteratura - e persino negli arredi - percorreva l'intera Europa.
Un soggetto esotico ben si confaceva, d'altro canto, ad un drammaturgo affascinato dalle componenti magiche o fiabesche, oltre che acerrimo antagonista del realismo scenico portato avanti a Venezia dal Goldoni. E che non intendeva rinunciare alle antiche, familiari figure della Commedia dell'Arte.
Le une e le altre pervadono tutti i suoi migliori lavori, quali L'amore delle tre melarance, Il re Cervo, La donna serpente, L'augellin belverde, che nel tempo attrassero l'interesse di compositori come Wagner, Prokof'ev, Casella, Henze. Oltre che di Busoni, il quale propose per primo nel 1917 la sua Turandot, anticipando di qualche anno quella di Puccini.
“Continuo a credere nella magia del teatro”...
“Tutto nasce sulla scena, momento per momento. Continuo a credere nella magia del teatro”, scrive Pizzi nelle essenziali note di regia. E proprio dopo aver portato in scena, da par suo, varie e incantevoli Turandot pucciniane, nel prendere per mano l'urtext gozziano procede con passione, ma anche con prudenza.
Non lo stravolge ma lo sintetizza all'essenziale, mantenendone intatto lo spirito ed il valore. Esce così dalla sua rielaborazione un atto unico di un'ora e mezza, del quale cura ogni particolare scenico, senza calcare la mano sulla componente esotica e fiabesca. La lontana Cina è infatti sobriamente evocata da costumi variegati, ma eleganti e frugali nel disegno; e da grandi pannelli mobili di valenza geometrica, avendo sullo sfondo una sfera cangiante, con sorprendenti giochi di luce di Massimo Gasparon.
Quella che Pizzi propone è poi una drammaturgia più incalzante, più attuale, più concretamente umana. Rispetta quanto viene dalla tradizione, ma cerca di infondervi un tocco di modernità.
Vira i versi sciolti di Gozzi in prosa; smussa (ed accorcia) lo stretto dialetto veneziano del loquace Pantalone; mitiga l'influsso della commedia dell'arte, consentendo però che l'elemento comico dei mandarini Pantalone, Tartaglia e Brighella sia ravvivato da tre differenti inflessioni regionali e da antiche maschere veneziane; assicura infine a Truffaldino- personaggio mimato - la sua dinamicità funambolica e la tipica veste variopinta. E la descrizione della metamorfosi della principessa da vendicativa, perversa dark lady a tenera amante, trova nelle musiche di scena composte da Alessio Vlad un valido sussidio.
Dopo la scuola serve, la polvere del palcoscenico
"Non basta frequentare una scuola, bisogna entrare nei teatri dalle porte di servizio e dare tutto di sè", sostiene ben a ragione Pizzi. Si avverte subito, infatti, che il training preparatorio che ha coinvolto questi giovani dell'Accademia Goldoni è stato lungo, accurato ed approfondito, sfociando in esiti lusinghieri.
Sono Federica Fresco (Turandot), Leonardo Tosini (Calaf), Andrea Bellacicco (Altoum), Massimo Scola (Pantalone), Gaspare Del Vecchio (Tartaglia), Marco Mattiazzo (Brighella), Pierdomenico Simone (Truffaldino), Elisa Pastore (Adelma), Maria Anolfo (Zelima), Riccardo Gamba (Barach), Maria Celeste Carobene (Schirina), Daniele Tessaro (Timur), Cristiano Parolin (Ismaele). Le agili figure delle guardie sono rese da Gino Potente, Vincenzo Luongo, Jacopo Rampazzo.