Lirica
TURANDOT

Puccini rivisitato da Giuseppe Frigeni: in scena una raffinata “Turandot”

Turandot
Turandot © Rocco Casaluci

Ritroviamo al Teatro Regio di Parma, una delle Turandot più raffinate e più concentrate che si siano viste, creata dal regista/scenografo Giuseppe Frigeni e dalla costumista Amélie Haas.

Ritroviamo al Teatro Regio di Parma, in apertura della nuova stagione lirica, una delle Turandot più raffinate e più concentrate che si siano viste, creata dal regista/scenografo Giuseppe Frigeni e dalla costumista Amélie Haas. Uno spettacolo che dopo la sua creazione al Comunale di Modena nel 2003 – sala dove farà ritorno fra un paio di mesi - ha camminato molto: quattro anni fa è stato ospitato nei sei teatri del Circuito Lirico Lombardo, l'anno scorso dell'Ópera de Tenerife.
Con una regia essenziale, coerente, sapientemente ragionata, che suscita nello spettatore fortissime emozioni pur adottando calibratissime movenze dei personaggi, e senza calcare la mano sul grottesco trio dei dignitari imperiali.

Sul palcoscenico, Frigeni mette in campo minimalistici tagli visivi: di base, una scalinata partita in mezzo ad occuparne l'intero spazio, e pochi ma pregnanti simboli in scena. Tutto racchiuso in una scatola scenica astratta, chiusa ai lati da emergenze orizzontali, in cui solo gli abiti evocano il mondo orientale e fiabesco della novella del Gozzi; e dove le luci – anche queste di sua mano, al pari delle coreografie dei mimi – ritagliano spazi freddi e severi. E se tutte queste cose rimandano al miglior teatro di Bob Wilson, ciò deve suonare come un elogio.

Una principessa di gelo sì, ma assai ben sfumata

L'estrema opera pucciniana inaugurava l'anno di Parma Capitale Italiana della Cultura, all'elegante prima era presente anche il presidente Mattarella. Noi siamo presenti alla recita conclusiva che allinea il primo dei due cast, con in testa da Rebeka Lokar. Chi ama le Turandot virago, percussive e metalliche - tipo Inge Borkh o Ghena Dimitrova, per dire - forse sarà rimasto un po' deluso dal bravo soprano sloveno. Però noi – innamorati da sempre della Nilsson – siamo subito conquistati da questa principessa ricca di sfumature, attenta ai filati, alle legature, ai colori, sempre fluida e mai forzata, seducente e morbida nell'intera gamma. Una Turandot chiusa nella sua inquieta solitudine piuttosto che perversa e crudele, letta nell'ambito di un giudizioso indirizzo interpretativo che tiene conto di altre figure pucciniane quali Butterfly o Minnie.

Accanto, troviamo un Carlo Ventre in stato di grazia: oltre a centrare in pieno il carattere di Calaf, mette in campo ampiezza e limpidità di suoni, bei legati, scattante vigore, facilità di squillo e di emissione. Tutto cum grano salis, senza far inutile sfoggio di muscoli. E poi c'è la levigatissima Liù di Vittoria Yeo, grande attrice sulla scena - figura asciutta, gestualità e sguardi sapienti - oltre che raffinata cantante, forte di una voce ben timbrata e dai riflessi di madreperla, trattata in ogni momento con granitica perizia e squisita ricercatezza. Giacomo Prestia è un Timur imponente e commovente, Paolo Antognetti un Altoum perfetto. Fabio Previati (Ping), Roberto Covatta (Pang) e Matteo Mazzaro (Pong) tratteggiano da par loro un dinamico e musicalissimo trio di cortigiani. Nei ruoli minimi, segnaliamo il Mandarino di Benjamin Cho.

Coro, orchestra, direttore al top

Il Coro del Teatro Regio curato da Martino Faggiani brilla per precisione e morbidezza, anche perché poco intrigato in scena. Irreprensibile pure il Coro di voci bianche Ars Canto preparato da Eugenio Maria Degiacomi.
Sul podio della Filarmonica dell'Opera Italiana Bruno Bartoletti – flessibile e precisa compagine di recente costituzione, erede dell'estinta Orchestra del Regio e di altre realtà nostrane - troviamo un vigoroso direttore, Valerio Galli, perfettamente in grado di padroneggiare al meglio una partitura così complessa e variegata, e di coglierne tutti quegli aspetti di grande modernità che la collocano fra i massimi gioielli del Novecento. Ci dona una concertazione in cui ravvisiamo non solo slancio, vigore, epicità, ma in egual dose ampiezza di respiro, bella resa di atmosfere, fine cura del particolare, occhio attento al fluire del canto. E mai eccessi di magniloquenza.

Visto il 19-01-2020
al Regio di Parma (PR)