Lo spettacolo che vediamo in scena, suggestivo e raffinato, curato amorevolmente da Massimo Pizzi Gasparon, non è nuovo. Imponente scena unica per un orientalismo elegante ed astratto.
Pare di moda l'eseguire la Turandot del solo Puccini, dunque senza il retorico ed insoddisfacente finale elaborato da Franco Alfano. L'abbiamo vista così un anno fa al Regio di Torino, direttore Noseda e regista Poda; ora la ritroviamo tale e quale al Teatro Sociale di Rovigo. D'altro canto lo stesso compositore avvertì l'immane difficoltà di concludere in maniera convincente l'opera, dopo il sacrificio di Liù. E si era arenato, ancor prima che musicalmente, proprio sull'esito drammaturgico del finale.
Né Alfano né più recentemente Luciano Berio, pur operando sugli appunti originali, hanno escogitato una risoluzione convincente: anche perché il trionfo di Calaf e l'abbraccio con Turandot - siamo sinceri - appaiono fuori posto davanti al cadavere ancor caldo della sventurata fanciulla. Meglio dunque chiudere sul mesto commiato della folla «Dormi!.. Oblia! Liù!... Poesia!», apice emotivo nonché musicale dell'estremo capolavoro pucciniano. Un finale che arriva dritto dritto al cuore dello spettatore.
Cento minuti tutti di fiato
Tra l'altro, l'esecuzione è qui offerta senza pause, cento minuti tutti d'un fiato. come per l'Elektra o la Salome di Strauss. L'altera Turandot è Lilla Lee, che consegna un'interpretazione graffiante e ferina, ma che non risolve del tutto la scomodissima linea vocale, lanciata verso acuti lunghi e siderali; note che talora sfuggono alla soprano americana, con suoni discordanti nelle fasi ascensionali. Walter Fraccaro è specialista del ruolo di Calaf: impavido, magnetico, facile allo squillo argenteo, anche stavolta fa l'en plein. E dopo un'inevitabile acclamazione universale concede il bis di «Nessun dorma». Angela Nisi cesella con amabile cura, nel morbido tratteggio di colori e nel sofferto spleen la sua tenera Liù. Ivan Tomasev è un Timur di adeguato spessore vocale, Ivan Marino un corretto Mandarino; quanto al trio Ping, Pong, Pang, eccolo risolto con ragguardevole espressività e bel vigore scenico da Italo Proferisce, Nicola Pisaniello e Davide Ferrigno.
Nella direzione il giovane maestro sloveno Simon Krečiċ, di fronte ad una partitura così complessa non si sbilancia, e rinuncia a scavarne a fondo la modernità rivoluzionaria. Concerta con prudenza e buon senso, portando a casa una lettura senza macchie, ma anche senza troppo estro e fantasia. Sotto di lui troviamo l'Orchestra Filarmonia Veneta, alla quale sfugge magari un ruggito della tuba, ma che nel complesso regge l'impresa. Il Coro Lirico Veneto, preparato da Giuliano Fracasso, svolge abbastanza bene il suo compito.
Uno spettacolo senza età
Lo spettacolo che vediamo in scena, suggestivo e raffinato, non è nuovo. Interamente ideato e varato da Pier Luigi Pizzi nel 2006 allo Sferisterio di Macerata, venne ripreso a Catania un paio d'anni fa, rimontato e curato amorevolmente dal suo storico collaboratore Massimo Pizzi Gasparon, lo stesso che ritroviamo all'opera anche qui a Rovigo. Imponente scena unica per un orientalismo elegante ed astratto: due grandi scalinate rosse ai lati, un'enorme porta laccata al centro, due demoni dorati in alto, una grande statua della dea Kālī che – ad onor del vero - non c'entrerebbe nulla con la Cina, costumi dal tratto moderno ma non sempre indovinati, specie per la protagonista. Creazione alquanto sacrificata nel ristretto palcoscenico del Sociale, con ovvie difficoltà per i movimenti delle masse corali, ma che non manca comunque di esercitare sempre un indubbio fascino. Né fallisce il bersaglio il sapientissimo gioco di sinistri bagliori coi quali Gasparon illumina la notte degli enigmi.