Torre del Lago, Nuovo Teatro all'aperto, “Turandot” di Giacomo Puccini
SLOW - TURANDOT
Turandot, l’ultima opera di Puccini di cui rappresenta il culmine drammaturgico e musicale, è stata scelta non a caso come spettacolo inaugurale del Festival Pucciniano nell’anno delle celebrazioni. L’opera incompiuta è stata rappresentata secondo l’abituale prassi esecutiva con il finale composto da Franco Alfano su materiale pucciniano, eseguito dopo una lunga pausa di stacco. Turandot è un’opera estremamente sfaccettata in cui coesistono fantastico e mélo, tragico e burlesco e anche la partitura, melodica e atonale, lirica e grandiosa, riflette la varietà di generi e la ricerca di nuovi effetti strumentali, vocali e armonici.
Maurizio Scaparro, regista di questa nuova produzione, privilegia l’aspetto intimista e il tema del sogno d’amore diventa il punto nodale della favola depurata da componenti spettacolari ed esteriori. Regia e direzione musicale si focalizzano sul dramma personale dei protagonisti senza però valorizzare appieno i destini collettivi e gli affreschi corali; le masse, che soprattutto nella prima parte svolgono un ruolo protagonista, sono presenze deboli e sfocate che si disperdono nel grande palcoscenico senza ricreare l’atmosfera della città notturna, brulicante e inquieta.
L’impianto scenografico di Ezio Frigerio è il punto forte della produzione, sobrio e funzionale, ma anche curato e raffinato, tradizionale nel senso migliore del termine. Il primo atto ha come sfondo un’imponente muraglia ferruginosa con alti pilastri borchiati sormontati da tripodi in un mix riuscito fra barbarico e liberty in piena sintonia con la scrittura musicale. La parte superiore ha spalti praticabili dove appare e scompare Turandot, fragile e strana creatura argentea, intravista oltre una gabbia –inferriata mentre cala un ponte levatoio. Il secondo e il terzo atto sono dominati da una monumentale pagoda che ricorda i padiglioni del Palazzo d’Estate a Pechino con una doppia scala che porta al cuore della costruzione: una vetrata policroma con un rosone innervato su una struttura floreale diversamente retroilluminata per scandire la progressione temporale. Straordinaria la cura dei dettagli e dei materiali, incantevole l’opalescenza dei vetri colorati e liberty. La muraglia brunita corrosa da ruggini secolari, le dorature e le laccature che impreziosiscono i legni della pagoda hanno la patina del tempo e il fascino dell’oro vecchio e suggeriscono quell’idea di Cina ricca di storia, avventura e malia cara a Puccini e lontana da cineserie sgargianti e kitsch.
Anche i raffinati costumi di Franca Squarciapino evitano il clichè e il facile esotismo: copricapi fantasiosi, maschere arcaiche e zoomorfe, broccati argentei e trapunti d’oro, abiti preziosi da haute couture sono “accessori” che divengono parte integrante dell’allestimento e della magia.
Facilitata da un fisico avvenente e sottile, Francesca Patanè ben suggerisce il personaggio enigmatico e liberty, fragile e crudele, ma asperità vocali e una dizione insufficiente compromettono la riuscita di pagine che richiederebbero maggiore omogeneità e lucentezza.
Francesco Hong dona a Calaf voce sicura di timbro seducente e convince per la ricerca espressiva, l’attenzione al fraseggio e a scandire le parole. Tutto interiore il “Nessun dorma”, ispirato e intenso, lontano dalla vuota esibizione di forza da teatro all’aperto.
Riuscita anche la Liù di Donata D’Annunzio Lombardi, una “piccola donna pucciniana” votata all’amore impossibile, tersa e delicata per voce, lineamenti e portamento.
Vigoroso e autorevole il Timur di Dehan Vatchkov, Cristiano Cremonini è un Altum sufficientemente incisivo. All’insegna della sobrietà e della misura anche le tre maschere Ping, Pang e Pong, rispettivamente Massimiliano Valleggi, Nicola Pamio e Emanuele Giannino dalla vocalità corretta, ma non degna di nota.
Desta perplessità la direzione di Alberto Veronesi dai tempi volutamente lenti, diluiti ed evanescenti che ricordano Debussy, ma che allentano l’efficacia drammatica. La scelta, giustificata da un rigore filologico di rispetto delle indicazioni di metronomo dell’autore, va a scapito della continuità musicale, assoli e duetti risultano slegati e privi di mordente e la direzione anziché sostenere i cantanti mette in rilievo i limiti della protagonista e le imprecisioni di alcune sezioni dell’orchestra.
Il coro preparato da Stefano Visconti s’impegna nella difficile prova nonostante qualche problema d’intonazione, bene il coro di voci bianche fuori scena diretto da Susanna Altemura.
Un teatro quasi esaurito ha applaudito calorosamente Calaf e Liù riservando isolati dissensi alla protagonista.
Visto a Torre del Lago, Nuovo Teatro all’aperto, il 25 luglio 2008
Ilaria Bellini