Tutti sopra lo stesso divano, sette ragazzi, due donne e cinque uomini, bevono birra, ammiccano tra loro, mentre ascoltiamo il nastro registrato dove una mamma e un papà interagiscono col figlio di pochi anni. Poi si spengono le luci in sala e tutti cominciano a ballare. Nel parossismo di una festa troppo allegra i ragazzi litigano e tre rimangono colpiti da altrettante pistole, impugnate dagli altri, pistole metaforiche, color fucsia, e finiscono a terra, uno accanto all'altro. Mentre i tre tiratori prendono posto tra il pubblico, nelle sedie lasciate vuote apposta per loro, la settima ragazza, rimasta sul divano, microfono alla mano, chiamandoli per nome interroga i tre ragazzi distesi chiedendo loro di ricordare come tutto è iniziato. Ma Cristiano, Davide e Achille come tre cadaveri non parlano e allora la ragazza fa per loro il resoconto oggettivo, con voce pacata, degli eventi che hanno coinvolto i tre, che sono fratelli, e loro padre accusato di pedofilia.
Lo spettacolo si dipana tra il racconto della ragazza e l'iterazione dei tre fratelli tra loro e con gli altri tre personaggi, quelli che hanno sparato simbolicamente loro, che rappresentano l'opinione pubblica. Tutti si rivolgeranno anche al pubblico, quello in sala, perorando la propria causa, quella di carnefici vendicatori i tre dell'opinione pubblica e quella di scagionare il padre dalle accuse, arrivando a chiedere perdono, i tre fratelli (con tanto di canzone di Caterina Caselli). Nel suo resoconto la ragazza col microfono lascia intendere come la detenzione di riviste dal titolo inequivocabile ("Giovani ragazzi e sodomia", "Storie d'incesto", "La rivista per adescare i fanciulli") sia stata sufficiente per accusare l'uomo di reati ben più gravi. L'uomo è infatti professore di educazione fisica in una scuola media e allena la squadra dei pulcini dagli 8 ai 10 anni. I genitori dei bambini, avvertiti da una lettera del capo della polizia, dice la ragazza, vengono invitati, per sveltire le indagini, a indagare da soli, chiedendo ai figli se hanno ricevuto molestie dal professore. Nelle indagini così condotte viene coinvolto anche il figlio maggiore dell'uomo, Cristiano. Il padre viene condannato a 21 anni il figlio a 14.
Per scagionare Cristiano il padre scrive una lettera nella quale racconta la sua storia: una infanzia difficile con la madre divorziata e promiscua che consumava rapporti sessuali in assenza di privacy (il figlio vedeva e sentiva tutto); i rapporti sessuali da adolescente con ragazzi coetanei; la successiva scoperta, a 20 anni, di essere attratto sessualmente dai bambini, l'incontro con la donna che sposerà, che l'uomo vive come una salvezza, la morte della moglie e le violenze sul figlio Cristiano (rapporti orali e anali) che all'epoca aveva solo 8 anni. Ce la legge la ragazza col microfono mentre delle parole, scritte in una minuta calligrafia, videoproiettate, istoriano il divano e il suo corpo.
Mentre il "pubblico" si sbizzarrisce nei commenti più vendicatori, maschilisti e omofobici possibili ("è un malato", "un frocio", "va castrato", "bisogna tagliarli il pene e infilarglielo su per il sedere") i tre fratelli iniziano a litigare tra loro: Davide accusa Achille di aver convinto il padre a scrivere la lettera, illudendolo così di poter scagionare Cristiano dalle accuse...
Turba mentis il nuovo progetto di IoMai (compagnia composta Luca Di Giovanni, Francesco Turbanti, Bianca Friscelli, Alessandro Amato e Concetto Calafiore), in collaborazione con Dynamis (Andrea De Magistris) ha la forza della ricostruzione di una storia davvero avvenuta (sì rifà infatti, oltre agli scritti di Scurati, specialmente Il bambino che sognava la fine del mondo) che hanno suggerito l'atmosfera e il taglio critico sui fatti di cronaca nera, al caso della famiglia Friedman, raccontata nel bellissimo documentario Capturing the Friedmans (USA, 2003) di Andrew Jarecki) tramite la quale il suo autore, Luca Di Giovanni, può affrontare in maniera critica l'uso massmediatico dei fatti di cronaca che abituano il pubblico a giudizi sommari e fanno di ogni protagonista dei fatti di cronaca un Mostro.
La passione civile dello spettacolo non impedisce l'impiego di una forma squisitamente teatrale che traduce la critica e il fatto massmediologico in una mise en scène suggestiva e ben recitata (da tutti gli attori, anche se i tre che interpretano la pubblica opinione sono relegati in un ruolo che forse avrebbe meritato qualche ulteriore sviluppo). Uno studio elegante che, pur mostrando il ludibrio mediatico fatto per esigenza di audience e di necessità di un capro espiatorio, non fa dell'accusato o dei figli delle pure vittime ma mostra come anche loro siano fatte in qualche modo della stessa pasta degli accusatori. Si insinua così man mano che lo spettacolo procede e la sbornia iniziale perde i suoi entusiasmi e si stempera in un racconto via via più mesto, una ambiguità che è proprio l'elemento principe con la quale i mezzi di informazione fanno leva sugli aspetti più vendicativi e reazionari del pubblico.
Un'ambiguità che, per funzionare veramente, confida nelle capacità critiche del pubblico che vi assiste. Perché se le posizioni estreme riportate dai tre ragazzi che riportano l'opinione pubblica sono segno evidente di un imbarbarimento e anche di estrema ignoranza, è meno evidente che sia la stessa visione retriva delle cose a far dire ai fratelli in difesa del padre, che si tratta di omofobia (che non ha nulla a che vedere con la pedofilia). Anche la lettera del padre contiene certi elementi la promiscuità della madre (vista come un male di per sé) il cui trauma ha fatto dell'uomo prima un omosessuale e poi un pedofilo, che alludono a un collegamento privo di fondamento.
Lo spettacolo lascia lo spettatore da solo a fare le necessarie rettifiche del caso, spettatore che, temiamo, privo di una coscienza critica ben consolidata possa davvero trovare nello spettacolo conferma che i pedofili siano omosessuali e viceversa (come se la pedofilia fosse fatta solamente da uomini ai danni di bambini...).
Ma d'altronde la funzione pedagogica del teatro e dunque anche di questo spettacolo non può prescindere dalla volontà politica (nel senso proprio di vita nella città) dello spettatore di porsi in maniera critica nei confronti di quel che gli viene proposto. E Turba mentis ha la forza dello spettacolo intelligente, onesto, preciso e di ampio respiro che si permette di correre qualche rischio corroborato da una fiducia nel pubblico che, evidentemente, l'autore di questa recensione non ha.
Prosa
TURBA MENTIS MISE EN JEU
Una grande fiducia nel pubblico
Visto il
10-03-2011
al
Vascello - Sala Studio
di Roma
(RM)