'U TINGIUTU - UN AIACE DI CALABRIA

Antica, disonorata società

Antica, disonorata società

Una tenda alla veneziana, pur se alzata, occupa l'intero spazio fra il pubblico ed il palcoscenico, preannunciando quella che sarà poi, quando verrà completamente calata, la prospettiva da cui guardare, anzi quasi spiare i protagonisti di 'u tingiutu.

Ci troviamo infatti sempre come un passo fuori ad ogni scena, come se per guardare le cose da dentro ci fosse bisogno di essere anche materialmente dentro alle loro fitte trame malavitose, di appartenere ad una delle famiglie che lottano per la supremazia, di concedere la propria vita a quel patto di sangue da cui in genere non si esce più, ed anzi nel quale si trascinano dentro anche tutte le colleganze, familiari e non.

In un'agenzia di pompe funebri si prepara un cadavere al rito funebre, fra scene di quotidiana realtà che tuttavia già contengono in nuce alcuni elementi cardinali, particolarmente importanti proprio perché fanno comprendere meglio che se un tipo di mentalità parte già dal basso, è pressoché normale che poi, trasferendosi in alto, porti a conseguenze ambientali diffuse, oggi chiamate contiguità, come quelle raccontate da Dario De Luca e dalla compagnia Scena Verticale alla Galleria Toledo.

Alla scena iniziale segue un improvviso agguato in cui muoiono tutti, e conta poco il loro nome, quando ci si trova all'interno delle lotte intestine fra clan e miniclan.

Numerosi bui di scena servono per elevare la tensione e contemporaneamente ad agevolare i cambi di scena ed i continui flashback, solo al termine dei quali la trama si chiarisce, spesso ad un ritmo molto lento, a volte perfino esasperato, in sintonia con l'atmosfera cupa -se non proprio una cappa di angoscia- che alla lunga diviene anche un po' sgradevolmente amara.

Il filo che conta è quello dei classici rapporti di forza, che sono tutto ("Tu sei zero, anzi no, non sei niente, perchè zero è un numero...", detto con sorprendente ispirazione matematica per i numeri naturali) e che tessono ogni livello della vita quotidiana, laddove gli Ulisse, gli Achille e gli Aiace dell’Onorata Società calabrese fanno uso improprio di parole come rispetto ed onore, inverando classici simboli della purezza interiore che ognuno di loro ritiene di possedere, e contrapponendosi alla civilizzazione esterna: geniale l'esempio della festa della Madonna, alla quale come attrazione principale viene invitato Pupo, ma solo a condizione che non canti Gelato al cioccolato, supposto simbolo allusivo e sconcio ("Mamma non la cantava!!! Pupo viene alla festa della Madonna, ma non gliela facciamo cantare...").

'U Tingiutu da il meglio di sé nel suo essere emblema del potere territoriale e della necessità di essere e di avere un boss qualunque, anche in un mini-ambiente: dove ci stanno due persone, là deve esserci uno che comanda, e così via, fra gerarchie e scale, senza le quali costoro non sanno vivere, non sanno riconoscere nemmeno sé stessi, e soprattutto non sanno riconoscere un altro essere umano.

Ottima la chiusura musicale, quando rimangono in scena soltanto le note e le parole di Un mondo d'amore di Gianni Morandi, che in alcune sua parti in cui evoca fiducia ed affidamento, sembra assurdamente perfetta per descrivere anche quel mondo (Uno non tradirli mai, han fede in te / Due non li deludere, credono in te...)

Visto il 31-03-2011
al Galleria Toledo di Napoli (NA)