UN ANNO CON 13 LUNE

Alcuni mesi dopo il suicid…


	Alcuni mesi dopo il suicid…

Alcuni mesi dopo il suicidio di Armin Maier, suoi amico e compagno, Fassbinder gira, in poco più di un mese Un anno con tredici lune nel quale racconta degli ultimi cinque giorni di vita di Erwin Weishaupt, un uomo operato a Casablanca che ha assunto il nome di Elvira, abbandonata dall'uomo che ha amato per anni, e tra l'indifferenza della ex moglie e di quella che si professava la sua migliore amica (che va a letto davanti ai suoi occhi col suo amato bene) si suicida tra l'indifferenza generale. Uno dei film più privati di Fassbinder nel quale il dramma raccontato è talmente colmo di disperazione da arrivare a un eccesso che straborda nell'artificio, privo di compassione dove la protagonista (interpretata Volker Spengler) è testimone suo malgrado della castrazione continua che i rapporti d'amore subiscono nella nostra società.
La compagnia Egumteatro ha tratto dal film una pièce messa in scena da Annalisa Bianco e Virginio Liberti, che, pur rimanendo fedelissima ai dialoghi della sceneggiatura, ne tradisce lo spirito cambiandone cifra e significato.Michele di Mauro, nell'interpretare Elvira, compie l'imperdonabile equivoco di confondere il complesso passaggio da Erwin a Elvira, dettato solo dall'amore nemmeno col transessualismo ma direttamente con l'omosessualità. La sua Elvira infatti ha più le parvenze dell'omosessuale effeminato (quello interpretato da Ugo Tognazzi ne Il vizietto) che quelle di un uomo che per amore di un altro uomo si fa donna travisando una sua battuta (se fossi donna mi piaceresti); l'Elvira di Spengler invece non ha nulla di effeminato trae anzi la propria forza drammatica proprio dall'interpretare un corpo maschile mutilato che incarna una fragilità che travalica l'identità di genere: Michele di Mauro fa il verso alla donna mentre Volker Spengler, nonostante il fisico maschile, è una donna. L'enorme disperazione di Elvira nel film di Fassbinder, che la conduce a suicidarsi non per sprovvedutezza, ma come coerente cosneguenza di una vita di dolore e di solitudine non trova riscontro nella pièce dove Elvira, molto più presente a se stessa e capace di ironia, non è mossa dalla ...stupidità etero di chi si è fatto donna per amare un uomo, ma dalla causticità più consueta (e immediatamente comprensibile) del gay che ha scelto la strada apparentemente più facile della donna mancata per normalizzare la propria devianza.
Nel film si rimane senza fiato straziati da una situazione che si fa sempre più insostenibile, per Elvira e per lo spettatore, nella pièce di Annalisa Bianco e Virginio Liberti invece si si sorride, e poi si ride e non si soffre mai, veramente.
La performance degli attori è convincente, la messinscena lascia anche un certo segno, ma lo spettacolo non ha niente del film da cui è tratto, pur usandone i dialoghi parola per parola.
Una trasposizione però che  cambia, in un caso, profondamente il significato di un personaggio. Seelenfrida (Frida nella pièce) che nel film è un uomo nello spettacolo è una donna, per cui alcune sue battute A me pièce quando gli uomini mi mettono le mani addosso, sono così goffi... cambiano sensibilmente di significato.
Questo è un indizio sintomatico dello scarto tra il film e questa messa in scena: il poco riguardo per il femminile che nello spettacolo di Egumteatro rischia di ridursi al solito scimmiottamento del femminino ad uso e consumo del maschio, poco importa se etero od omosessuale.

Roma, teatro India, dal 24 febbraio al 1 marzo 2009

Visto il 24-04-2009
al India di Roma (RM)