La domanda che sorge spontanea prima di vedere la riduzione teatrale di Un anno con 13 lune, tratta un film di Fassbinder del 1978, non basato su alcun materiale teatrale, ma scritto dal drammaturgo e regista alcuni mesi dopo il suicido di Armin Meier che non era un suo amico, come censoriamente riportano i libri di cinema, ma il più grande amore della sua vita, è cui prodest?
Perchè portare sul palcoscenico una storia dall'alto contenuto cinematografico (uso separato delle immagini e del sonoro come nella celebre scena del mattatoio nella quale, mentre la protagonista racconta i suoi trascorsi, vediamo la macellazione di diversi capi di bestiame) a teatro?
Dopo aver visto la riduzione (un'ora circa di spettacolo dalle due ore di film) di Enzo Aronica che, apparentemente, si limita a trasporre a teatro i dialoghi del film, bisogna riconoscere all'operazione un suo perchè, e, soprattutto, di raggiungere un risultato degno di considerazione.
Un anno con tredici lune, partendo dalla constatazione che un anno con 13 pleniluni porta disgrazia agli uomini che amano è prima di tutto un film sulla legittimità del suicido. La protagonista è Elvira una donna, che, prima dell'operazione a Casablanca, era Erwin, un uomo sposato e con una figlia.
Personaggio complesso Elvira è stata completamente fraintesa dai critici cinematografici - di allora come ora - sprovvisti di categorie non patriarcali e omofobiche per coglierne l'essenza.
Descritta come una transessuale cioè come un uomo biologico che si sente donna, sfugge ai critici che il gesto di Erwin, superficiale e avventato, non nasce dalla volontà di adeguare il proprio corpo a un diverso sentire ma come gesto d'amore per Anton Saitz, suo complice di alcuni contrabbandi in carni da macello.
Scopertosi innamorato di lui, nonostante non si percepisca (ancora) come omosessuale (se è sposato e ha una figlia non è per copertura anche se, Elvira ammette, quello con sua moglie Irene non era vero amore), quando Erwin dichiara il suo amore al complice si sente rispondere da questi che se fosse donna potrebbe anche piacergli. Erwin si reca così a Casablanca e diventa Elvira.
E' evidente il valore simbolico del cambio di sesso che tralascia tutti i dettagli di verosimiglianza essendo un esempio piuttosto della constatazione di Fassbinder che in amore chi ama soffre di più. Elvira nasce da un atto d'amore non dalla decisione di un'anima transessuale.
Il film è una sorta di avvicinamento (e legittimazione) al suicido per tappe. Dall'abbandono dell'uomo col quale vive da diversi anni, alla visita nel mattatoio dove lavorava quando era ancora Erwin, a quella all'orfanotrofio dove è cresciuto seguito da suor Gudrum, che gli rivela perchè non è mai stato adottato (il padre ignorava la sua esistenza e dunque non poteva firmare i documenti per l'adozione) fino alla visita ad Anton che le preferisce la sua amica Zora, con la quale va a letto, Elvira si sente rifiutata da tutti, compresa l'ex moglie Irene e loro figlia Marie Ann e un giornalista che la ha intervistata tempo prima. Rifiutata non in quanto transessuale, ma semplicemente perchè i suoi problemi di persona collidono con quelli, altrettanto urgenti delle singole persone alle quali Elvira si rivolge. D'altronde nemmeno Elvira prova interesse per il dolore altrui che incontra negli altri durante i suoi ultimi giorni di vita prima del suicidio. Elvira si disinteressa dell'ex dipendente di Anton, licenziato perché malato di cancro, e si disinteressa anche del suicida che incontra e che non cerca minimamente da far desistere dal suo intento e non perchè anche lei abbia già decisi di fare lo stesso, ma per lo stesso meccanismo che induce a concentrarsi sul proprio particulare senza lasciare spazio all'empatia o alla solidarietà.
Anche Zora che pure sa che Anton è la molla che ha portato Erwin a divenire Elvira non si fa scrupolo di fare sesso con lui (nel letto di Elvira proprio dove la donna alla fine si suiciderà).
Una legittimazione del suicido anche altrui (Elvira assiste incitandolo a portare a termine l'opera il suicida che incontra il quale mentre si mette il cappio al collo cita Schopenauer) che diventa una accusa totale della nostra tortole indifferenza alle sofferenze altrui, mentre mentre il mondo esterno è in preda a profondi cambiamenti. La crisi economica che attanaglia Anton che abita ancora il suo ufficio al 16mo piano di un palazzo ormai vuoto, dove tutti sono obesi (come dice Anton a Elvira cercando di consolarla della sua pinguedine) e dove molti uomini, a detta di Zora, sono impotenti. Vittima non dell'indifferenza altrui ma del costante sforzo con cui ognuno cerca di curare la propria felicità trascurando quella degli altri, il gesto di Elvira non è quello di una persona debole, o di una vittima, ma la scelta coerente di una persona che, come dice il suicida a Elvira, non rifiuta la voglia di vivere ma i dolori che la vita lo costringono a vivere.
Aronica asciuga il plot del film, eliminando alcuni personaggi di contorno, concentrandosi su quelli principali che riesce a restituire nella loro piena statura narrativa e morale.
Basandosi sui dialoghi desunti dal film dà loro un connotato visivo pienamente riuscito che calza e sostiene a pennello l'ethos del loro parlare.
In una scena astratta, all'inizio occupata da tutti e otto gli attori-personaggi, mentre, in seguito, uno di essi rimane spesso ai margini come testimone esistenziale di una scena che non lo vede coinvolto, Aronica mostra lo stesso interesse per tutte le persone coinvolte nella vita di Elvira, che ci descrive con una precisione della quale a farne le spese è proprio il personaggio di Elvira che è quello sul quale Aronica si sofferma di meno.
Sostenuta da meno dialoghi degli altri personaggi, in parte anche perchè il film ha altri mezzi espressivi per sviluppare i suoi protagonisti, Elvira rimane a tratti defilata, sostenuta solo da un aspetto fisico che a differenza di quello del film, la vede portare indossare smalto per unghie, ombretti e rossetti, parrucche bionde e vestirsi di abiti esagerati più vicino all'idea maschile del femminino delle drag queen (pur senza arrivare a quegli eccessi) che alla quotidianità di una donna.
Pur spostando il fuoco drammaturgico da Elvira agli altri personaggi la pièce riesce a restituire lo stesso il percorso che porta Elvira al suicidio in maniera precisa ed esemplare.
E' proprio questa differenza dal film pur nella sostanziale aderenza ai fatti della storia in esso raccontata, che questa riduzione trova una sua ragione d'essere e una autonomia narrativa dal film da cui è desunto.
Gli attori e le attrici sono (quasi tutti) molto bravi (e brave) nell'interpretare i propri personaggi senza sbavature né eccessi, risultando molto credibili anche quando si comportano in maniera bizzarra, come Anton che, per passare il tempo, ripete le coreografie di un musical che vede in tv (nell'originale è un film con Jerry Lewis).
Un anno con 13 lune rappresenta una degna conclusione per Trend Germania dedicata a Fassbinder nel trentennale della morte, una riduzione per la scena che non fa affatto rimpiangere l'originale, tutt'altro, e che, casomai, invoglia a vederlo solo per apprezzarne di più la fedeltà e al contempo le annotazioni personali, la cura e il rispetto con cui è stato portato sulla scena.