Lirica
UN BALLO IN MASCHERA

Firenze, teatro Comunale, “Un…

Firenze, teatro Comunale, “Un…
Firenze, teatro Comunale, “Un ballo in maschera” di Giuseppe Verdi “UN BALLO IN MASCHERA” SENZA BALLO E SENZA MASCHERA Il Ballo verdiano mancava dai palcoscenici del Comunale da dodici anni; nel 1995 Leonardo Pinzauti sulla Nazione così aveva recensito quell'allestimento di Carosi e Nicoletti (scene e costumi): “L'allestimento è colorato e incline alla decorazione. Troppe bandiere, piumaggi, trofei per il gusto fiorentino”. Orbene, sembra che per l'apertura della presente stagione ci si sia attenuti a questo e, per incontrare il gusto fiorentino, si sia tolto tutto. Ma proprio tutto.. Va anche detto che, dopo l'orgia stupefacente di immagini emozionantissime del Ring wagneriano della Fura dels Baus, non si poteva ricominciare che così. All'apertura del sipario l'impressione immediata è che l'opera viene rappresentata in forma di concerto: due pedane sfalzate con seduti i coristi, gli uomini allineati in fondo, le donne sulla destra in più file. Poi ci si rende conto, procedendo con la recita, che così non è. Non tanto per gli elementi scenici di Italo Grassi, che sono pochi e vaghi, una parete di fondo argento con tubi a vista, quasi da archeologia industriale, sedie, leggii e pedane scure; non tanto per i costumi di Silvia Aymonino, smoking per tutti gli uomini, nero lungo per Amelia e colorato lungo stile Pucci per Ulrica; non tanto per le luci di Marco Filibeck, affidate a sei grandi lampade a cappa nel primo atto, a proiettori invisibili nel secondo e a piccoli numerosi punti luce nel terzo. Quanto piuttosto per un preciso progetto di Marco Gandini che toglie via tutto, compresi il ballo e le maschere, per sottolineare il nodo della vicenda sentimentale dei protagonisti, lasciando sullo sfondo il complotto politico. I gesti sono rarefatti, quasi inibiti, ma capaci di esprimere il moto interiore dei personaggi e di evocare luoghi ed animi, i movimenti sono limitati ma assecondanti il libretto; le masse corali sono quasi immobili ma, con pochi, sapienti, intelligenti spostamenti, riescono ad esprimere quanto è necessario e bastevole: in fondo l'amore di Amelia e Riccardo si concretizza in uno sfiorarsi di mani. E l'uso di sciarpe e guanti è sufficiente a dare l'idea del campo notturno e di brividi per il freddo. Mentre il ballo è solo un'idea. Un progetto interessante che forse ha però il limite di sfrondare troppo e di non coinvolgere emotivamente il pubblico, lasciando una fredda, enigmatica essenzialità, bene esemplificata dalla scena finale: i coristi seduti con gli occhiali da sole, gli uomini con la bombetta in testa e le donne con parrucche ramate a caschetto. Violeta Urmana è una straordinaria Amelia, voce impeccabile in ogni registro, pulita e piena, dizione perfetta, frasi musicali scolpite e sostenute dalla trasmissione di un'intensa emotività. Ramòn Vargas è un Riccardo precisissimo per timbro e colore, non ha sbagliato una sillaba, la voce è bella e bene emessa, anche se nel ruolo appare quasi al limite delle sue possibilità. Prima dello spettacolo l'annuncio di una indisposizione di Roberto Frontali ha fatto temere il pubblico, invero il baritono ha sostenuto il ruolo di Renato comunque con generosità e nobiltà anche se la voce era meno luminosa che altre volte, per cui non si comprende come, dopo la sua aria in apertura del terzo atto, alla fine degli applausi, uno ha gridato “ma bravo dove?”, provocando una giusta reazione del pubblico, che lo ha applaudito a lungo, e dell'orchestra, che lo ha sostenuto rumoreggiando con i piedi sul parquet. Larissa Diadkova è una splendida Ulrica, autenticamente contraltile, voce omogenea e bellissima, soprattutto nella tessitura bassa. Di buon livello tutti i comprimari: Ofelia Sala (Oscar), Mario Cassi (Silvano), Carlo Striuli e Riccardo Ferrari (Samuel e Tom), Angelo Nardinocchi (primo giudice) e Saulo Garcìa Diepa (servo di Amelia). Daniel Oren ha diretto con la consueta, affascinante partecipazione emotiva, saltando, sbracciando, urlando e gesticolando; ho alternato momenti roboanti a momenti intimi, dando spazio adeguato agli strumenti solisti; tuttavia è sembrato poco attento alle sfumature di cui la partitura è ricca. Perfetto il tema di Amelia nel primo atto con gli archi saettanti: l'orchestra del Maggio conferma ogni volta la sua bravura. Buona la prova del coro, in una ingenerosa collocazione spaziale. Pubblico numeroso e molto plaudente durante la rappresentazione. Negli intervalli vari capannelli per parlare della messa in scena: buon segno, il teatro è anche questo e le innovazioni registiche debbono stimolare idee e discussioni. Molti indossavano qualcosa di rosso (compreso il sottoscritto) per sostenere i monaci birmani che combattono per la libertà e la democrazia. Visto a Firenze, teatro Comunale, il 30 settembre 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)