Lirica
UN BALLO IN MASCHERA

IMMAGINI DI UN BALLO IN MASCHERA

IMMAGINI DI UN BALLO IN MASCHERA

Nella conferenza introduttiva sul tema del festival, “Libertà e destino”, Massimo Cacciari ha sottolineato che la parola destino (praticamente uguale nella maggior parte delle lingue europee) deriva da un concetto di stabilità, fermezza (ανάγκη è destino in greco ma anche radice di àncora), facendo riferimento a legami necessari causa-effetto. Il filosofo ha posto al centro della sua riflessione i “valori”, forme necessarie per costruire l'esistenza perchè orientano la vita ed il pensiero degli uomini, divisi tra l'ordine della possibilità e quello della certezza. La riflessione ci è parsa particolarmente pregnante alla luce della rappresentazione del Ballo in maschera, dove il destino pare avere una forza particolare: solo il necessario esiste davvero e nulla capita per caso?

La vicenda di Riccardo, Renato e Amelia, così distante dal consueto e banale triangolo amoroso, si intreccia con quella del delitto politico e della congiura di stato. Pier Luigi Pizzi la ambienta negli anni Settanta del Novecento a Boston: ne siamo sicuri non solo per le bandiere americane che campeggiano in proiezione sul muro dello Sferisterio e pendono nell'ufficio di Riccardo, ma anche per il dettaglio della targa dello Stato del Massachusetts sull'automobile con cui il governatore entra in scena. I costumi ed il mobilio chiaramente indicano il momento storico, un tempo successivo al governo Kennedy che ha lasciato incertezze, al punto che ci si affida per il futuro a indovine e capipopolo, anziché alle proprie forza ed intelligenza.
Elemento dominante della messa in scena è la proiezione, sul muro dell'arena progettata da Ireneo Aleandri, delle immagini dell'opera riprese dal vivo da operatori muniti di telecamera. Soluzione affascinante che crea nuove prospettive rispetto all'azione sul palco ma che corre il rischio di appuntare lo sguardo dello spettatore solo sui video e non sulla scena vera e propria, perdendo l'effetto scenico dei protagonisti con il coro e i figuranti. Coro che è sempre presente sul palco in due tribune laterali, come cittadini al cospetto dell'azione scenica e politica che si svolge.

L'orrido campo “ove s'accoppia al delitto la morte” del secondo atto è divenuto una discarica con ammassati pneumatici usati (le “colonne” del libretto”) e vecchi fusti di carburante: chissà se l'etichetta di uno di essi “Agip” sia casuale o rimandi ad anni in cui la compagnia petrolifera italiana aveva un maggiore peso internazionale. Il luogo è frequentato da tossici, spacciatori e figure border-line ed è sfondo per un drogato che si inietta eroina in vena (la realtà supera la messa in scena: si sente da fuori un suono di ambulanza) ed un bacio saffico, tutto ripreso in diretta ed amplificato dai video implacabili. In tale situazione Amelia appare incongrua, con quell'abito nero lungo e il bianco velo sul volto, ancora più affascinante.
Nel terzo atto siamo dentro la casa di Amelia e Renato, arredata con mobili laccati bianchi e neri dalle linee essenziali e rigorose; dalla culla il loro figlioletto conquista il pubblico muovendo a tempo di musica braccia e gambe, attentissimo allo svolgersi dell'azione.
Si diceva dei mega-video, che hanno parte preponderante nell'economia dello spettacolo. I due laterali rimandano scene a campo più lungo, quello centrale è più attento ai primi piani e ai dettagli. Ci sono pochi momenti in cui la rappresentazione non è accompagnata dalle riprese, come il duetto tra Ulrica ed Amelia ed il finale del secondo atto, dove le ombre tenebrose dei protagonisti sostituiscono le immagini in bianco e nero.
L'apporto di Roberto Maria Pizzuto non si limita alle coreografie in senso stretto (due ballerine in tutù, due cani in abiti star-and-stripes ed una morte incappucciata all'inizio del ballo), estendendosi anche ai movimenti dei protagonisti e dei figuranti, con un'attenzione particolare alla morbidezza del gesto. Fondamentali le luci di Sergio Rossi nella riuscita dello spettacolo, soprattutto nei momenti notturni.

Stefano Secco è un Riccardo di grande intelligenza interpretativa, il cui canto è attento al testo per rendere intensamente nei colori e nelle mezze voci un ruolo assai variegato: dagli slanci appassionati dell'effusione amorosa all'abbandono tenerissimo, dalla generosità e dallo sprezzo del pericolo a qualche uscita brillante; corposo il registro centrale, pieno e ricco di sfumature, che senza fatica sale in alto; la linea è salda, tutte le note sono presenti e dense di significato, la dizione è nitida e precisi sono i passaggi dove morbidezza e leggerezza di chiaroscuri rivestono un ruolo essenziale. Viktoriia Chenska ha sostituito Teresa Romano ed ha voce ampia e potente; la sua Amelia ha un'emissione di forza nel registro superiore, compensata da un centrale morbido ed espressivo al servizio di un temperamento notevole, in parte offuscato dalla pronuncia non puntuale. Del Renato di Marco Di Felice si apprezzano il fraseggio ed i giusti accenti nella romanza, in un ruolo a tessitura baritonale assai elevata. Elisabetta Fiorillo è notevole per timbro, estensione ed accento ed affronta bene lo scomodo ruolo di Ulrica, fra contralto e mezzosoprano; da segnalare il sostenere morbidamente il salto in basso di “e delle tombe i gemiti” che raggela gli spettatori; efficace scenicamente nel lungo e svolazzante abito fucsia e nell'atteggiamento di “televenditrice” seguita da pubblico a frotte. Gladys Rossi è Oscar: il ruolo del paggio è stato trasformato con una felice intuizione registica in quello di segretaria-escort vestita di rosso fuoco; la voce è luminosa e compatta, varia nell'accento sempre incisivo, brillante nelle lievi colorature; anche grazie ad una particolare disinvoltura scenica, il soprano conquista i favori del pubblico. Alessandro Battiato è un apprezzabile Silvano in divisa da marinaio. Compatti i due bassi, Antonio Barbagallo (Sam) e  Dario Russo (Tom). Con loro Raoul D'Eramo è un giudice e Enrico Cossutta un servo d'Amelia. Il coro lirico marchigiano è stato preparato da David Crescenzi.

Daniele Callegari mantiene sempre l'appiombo tra buca e palco e assicura tempi costanti e sotto controllo; il suono è però povero di colori ed il tessuto orchestrale appare poco affascinante, mancando di quella morbidezza frastagliata e di quella trama sontuosa che costituisce la cifra di questo Verdi.

Molto pubblico, diviso sulla messa in scena ma convinto dal cast. Alla fine applausi per tutti, particolarmente per Stefano Secco e Gladys Rossi.

Visto il
al Arena Sferisterio di Macerata (MC)