Lirica
UN BALLO IN MASCHERA

Psicanaisi verdiana con i Test di Rorschach

Psicanaisi verdiana con i Test di Rorschach

Luce e tenebra, cieli tersi e tempestosi, hanno contraddistinto Un ballo in maschera andato in scena al Teatro Donizetti di Bergamo, prossimo all'esaurito. Ivan Stefanutti (regia, scene e costumi) ha utilizzato come tema le tinte: colori scenici e cromie caratteriali. Quinte nero-argentee, pavimento di lucida pece, un sipario corvino che si è aperto e richiuso su limpidi squarci di orizzonte dalle mille sfumature accese; un teschio d'argento dark a indicare l'antro di Ulrica. Le stelle, solitarie o disposte in file a guarnire gli elementi scenografici, hanno rievocato la Boston a Stars and Stripes (a strisce, le spalliere delle sedie), per quanto l'insegna a cinque punte sporcata di rosso durante l'omicidio di Riccardo (unica colorazione di disarmante banalità) abbia cagionato un indesiderato effetto moscovita. Ancora, un mappamondo citazione del film di Charlie Chaplin "Il grande dittatore": la vicenda ha infatti trovato ambientazione in una stanza del potere nella quale militari in divisa hanno deciso lo svolgersi degli eventi. Stefanutti ha scandagliato le opposte sfaccettature, cupe e luminose, degli animi umani, la loro capacità di reazione nelle condizioni di anonimato garantite dal celarsi dietro maschere. Camuffamento assunto anche dal destino che, tra rombi di tuono e bagliori di saette a tempo di musica, ha imprevedibilmente intorbidito il suo corso. Un fato coscientemente raziocinante in grado di tramutare il minaccioso stratificarsi di nuvole temporalesche, in plumbei "disegni ambigui" dei test di Rorschach, per analizzare le psicologie dei personaggi cantati da Giuseppe Verdi. Piacevolissima, significativa, la connotazione atemporale suggerita dai costumi, di epoche indefinite: Riccardo sfoggiava un trench candido da Dandy, demoni dai lunghi becchi e maliarde in abiti da sera cremisi e tacco 12 hanno attorniato Ulrica, razziatori-ninja hanno depredato l'impiccato alla squallida forca nell'orrido campo; infine, una esplosione di fantasmagoria durante il ballo, quando fogge estrose sfolgoranti di piume e lustrini multicolor, hanno proiettato l'atmosfera in ambito giocosamente onirico, ben calzante al titolo.

Mario Malagnini tende ad anticipare i tempi, con sfasamento in avanti rispetto al dettato musicale. La voce negli acuti prende potenza, si schiarisce e assume una caratteristica velatura. Dopo il primo atto che lo ha visto propenso a declamare anziché cantare, con cambi di "appoggio", nel secondo tempo il tenore si è lasciato andare all'interpretazione fino ad essere risultato più che convincente nel terzo, dove abbiamo apprezzato la garbatezza di emissione negli squilli, solidi senza la necessità di strafare, dalla lodevolissima misura; Riccardo presago della sorte, dagli accenti di romantica melanconia alla Grande Gatsby. Dimitra Theodossiu possiede voce vibrata, corposa, tonda, e fraseggio accurato. Le messe in voce morbidissime hanno fatto da preludio a pienezze ben tornite, per poi calare di intensità nei registri gravi, dove il timbro ha assunto screziata personalità; grande padronanza dell'indole prepotentemente drammatica, ma anche lirica, di Amelia. Renato meditativo ancorché capace di accesi impeti, era Igor Golovatenko, dalla buona dizione, limpida estensione, solida tecnica, notevole musicalità, saggio controllo nel dosaggio dei volumi nonché della potenza, fluita naturale, senza spinte. Una recita per lui particolarmente felice. Sorvolando su una poco accorta gestione di fiato che l'ha costretta ad un respiro fuori programma, Giovanna Lanza presenta un bagaglio dai colori carismatici, e messe in voce esplose in volumi impetuosi e appropriatamente misteriosi per Ulrica. Paola Cigna, dalla timbrica gradevolissima, controllo della gamma, agile anche se non agilissima, di non grande potenza superata con la capacità di arrivare della voce "che corre"; Oscar elettrico come la tonalità di blu dell'abito indossato. Tom e Samuel erano Stefano Rinaldi Milani ed Enrico Rinaldo, corretti e puntuali. Completavano il cast Maurizio Leoni, Silvano e Gabriele Colombari, Giudice. Non ha brillato per precisione, il Coro Lirico Amadeus diretto da Giorgio Mazzucato. Orchestra Regionale Filarmonica Veneta, non perfettamente bilanciata nelle sezioni. Il direttore Stefano Romani si è profuso nel non cadere nell'effetto banda, addolcito in sonorità nette, scandite, tuttavia poco incisive nella tensione drammatica. I chiaroscuri verdiani erano ravvisabili benché stemperati nello svolgimento di rassicurante linearità, senza sorprese.
Dopo l'esordio di serata trattenuto, il pubblico ha indirizzato numerosi "bravo" a sipario aperto a ciascuno degli interpreti, a turno. Applausi calorosi durante i saluti di rito.

Visto il 10-11-2013
al Donizetti di Bergamo (BG)