Prosa
UN CERTO SIGNOR G

Fabriano (AN), teatro Gentile…

Fabriano (AN), teatro Gentile…
Fabriano (AN), teatro Gentile, “Un certo signor G” di Giorgio Gaber IL SIGNOR GABER SECONDO NERI MARCORE' Lo spettacolo è l'occasione per rivisitare l'opera di Giorgio Gaber ed esplorare il mondo di un uomo comune che si interroga sul senso della propria vita, “sempre sfiorata dal pericolo dell'imbecillità e del qualunquismo”. Il signor G è l'uomo medio, pensante, con sentimenti, che vive le storture dell'italica democrazia e dei suoi rappresentanti. Neri Marcorè rivisita l'opera di Gaber con l'amarezza del signor G ma con quel suo modo tutto personale di essere gentile, surreale e tenero, un ragazzotto mai cresciuto (“chissà perchè i sogni, proprio quando – come specchi fedeli all'anima – svelano gli intendimenti, si interrompono sempre”), un po' Forrest Gump e un po' Giorgio Gaber con quella sua “pulizia del sentire”. Ed è proprio questo il punto di forza dello spettacolo, costruito con Giorgio Gallione e tratto da vari testi di Gaber e Sandro Luporini. Non è un'imitazione di Gaber o una mera ripresa dei suoi lavori, piuttosto siamo di fronte alla stessa forza, ironica e civile, dell'originale, secondo le corde, le doti (qui versatili come non mai) e la sensibilità di Marcorè, mite e timido, meno gigione e buffone ma non meno pungente e paradossale. In questi anni il signor G si è evoluto. Alcune cose sono cambiate dal 1970 ad oggi, altre sono rimaste uguali, altre ancora si sono incancrenite. Ci sono attualizzazioni sulla politica e la cronaca: “la maggioranza è talmente vicina al 50% che basta che a uno gli arrestino la moglie e cade il governo”. Accompagnato da due pianiste spiritose (Gloria Clemente e Vicky Schaetzinger), talvolta solo alla chitarra, il protagonista si interroga sul presente e sul futuro, denuncia, informa, parla di razzismo, di amore, di ecologia, di paura, di sogni e di incubi, di consumismo e comunismo, della politica di oggi e dei personaggi che dominano il panorama, di fratellanza, accoglienza e ospitalità. Si passa dalla brama di avere come e più degli altri alla serenità nel non possedere nulla; dal peso di essere compresso nell'ingranaggio alle bende sugli occhi costituite dai molteplici condizionamenti esterni; dall'ignoranza (“che è molto meglio della vostra idea di conoscenza”) alla consapevolezza delle proprie capacità (“mi sono fatto tutto da me, mi sono fatto tutto di merda”). Soprattutto la volontà/necessità di fare il bilancio della propria vita, “quando il cielo si fa un poco più grigio, quando si accampa un senso di amarezza e ti senti solo. E allora pensi al lavoro, alla salute, all'impegno sociale, morale, civile, all'amore, alla sfera degli affetti e dei sentimenti”. “Io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono: (...) i governi sono opportunisti, arroganti, ladri, in passato assassini, ma gli italiani hanno reso l'Italia un bel paese, (...) con la speranza che in un futuro non lontano al centro della vita ci sia ancora l'uomo”. La scena è un quadrato nero, pagine di quotidiani a terra a mo' di tappeto e sulle pareti a chiudere le uniche aperture, poi aperte sul nero. Due pianoforti, due donne. Una sedia che si solleva fino al cielo, l'uomo senza niente è più leggero. Un topo enorme, la memoria de “Il Grigio”. E alla fine cinque quadri con nuvole sull'azzurro, come Magritte. Marcorè sembra in questi ultimi anni non sbagliare un colpo nelle scelte professionali, tra teatro, cinema e televisione. Teatro gremito all'inverosimile, pubblico plaudente all'inverosimile, due bis alla chitarra, uno il notissimo che fa “la libertà non è star sopra un albero, la libertà non è uno spazio libero, la libertà è partecipazione”. Visto a Fabriano (AN), teatro Gentile, il 21 febbraio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
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