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DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

Un opéra-bouffe où on ne mange pas

Un opéra-bouffe où on ne mange pas

Soprannominato ironicamente “Le compositeur toqué” dal titolo di un suo lavoro del 1854, Louis-Auguste-Florimond Ronger (1825-1892) – più noto come Hervé - si deve considerare a pieno titolo l'inventore dell'operetta francese: librettista, compositore, cantante ed attore, direttore d'orchestra, creatore di mises en scene, impresario ed amministratore: nessun aspetto del mondo del teatro musicale 'leggero' dei suoi tempi gli era estraneo. Di giorno serioso esecutore di musica sacra all'imponente tastiera di Saint-Eustache, la sera mutava casacca esibendosi sotto il pseudonimo di Hervé nei vaudevilles dei teatrini della periferia parigina. La sua carriera di creatore di lavori comici ebbe inizio in una piccola sala di Boulevard Montmartre nel 1847, con il “tableau grotesque” Don Quichote et Sancho Pança; nel 1854, lasciato l'incarico di organista, aprì per qualche tempo persino un proprio teatro - le “Folies Concertantes”  - dove si rappresentavano lavori suoi accanto a quelli d'altri autori. Per un guaio con la giustizia che gli costò qualche mese di prigione (corruzione di un minore, mica bruscolini), fu costretto per un paio d'anni a battere la provincia come cantante, facendo rientro a Parigi nel 1861, lavorando poi come direttore d'orchestra per varie sale dei boulevards. Nel 1864 la liberalizzazione dei teatri eliminò finalmente le anacronistiche limitazioni imposte nel lontano 1807 da Napoleone I, a favore dei quattro principali teatri parigini: i compositori – costretti sino ad allora a scrivere atti unici con soli due interpreti - furono da allora liberi di creare vere operette in tre atti (generalmente definite in cartellone opéra-bouffe o bouffon), inserendovi anche un coro ed un sempre crescente numero di personaggi. Così gli anni seguenti videro Hervé, affidando ad altri la stesura di testi comici ed irriverenti, comporre le musiche dei suoi lavori migliori: dopo la tiepida accoglienza di Les chevaliers de la Table Ronde (1866), il grande successo gli arrise infine con L'Œil crevé (1867), Chilpéric (1868), Le petit Faust (1869), fortunatissima parodia del capolavoro di Gounod. Dopo un paio d'anni passati in Inghilterra a mettere in scena e dirigere i propri lavori, Hervé scrisse ancora varie opéra-bouffes e vaudevilles-opérettes soprattutto per il Théâtre des Variétés; la sua fantasia inventiva stava però reclinando, e da parte sua il pubblico francese, dopo la débâcle della Guerra Franco-Prussiana e la fine ingloriosa del Terzo Impero, pareva meno incline al facile divertimento. Nondimeno Mam-zelle Nitouche, la cui trama era palesemente ispirata ai suoi inconsueti esordi giovanili (organista di giorno, cantante/attore di notte), concluse nel 1883 la sua lunga carriera di autore teatrale con un vero capolavoro di questo repertorio.

Con gli anni, però, la produzione di Hervé venne presto offuscata dall'astro del più fortunato rivale Jacques Offenbach, i cui lavori godono da sempre di una più larga popolarità. Così, per avvalorare il primato di “padre dell'operetta” e recuperargli quello spazio che gli spetta di diritto, il Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française ha varato un programma pluriennale di recupero di titoli di Hervé, che farà perno sui quattro suoi lavori già nominati (Les Chevaliers de la Table Ronde, L'Œil crevé, Chilpéric, Le petit Faust) presentandoli al pubblico con cadenza biennale, in alternanza con altrettanti titoli d'altri operettisti francesi.
Tutta l'operazione è stata messa nelle mani de Les Brigands, compagnia fondata nel 2000 da Loȉc Boissier e Nicolas Ducloux per mettere in scena il repertorio operettistico francese con interpreti versatili e con un'orchestra più snella, così da poterlo portare facilmente in giro nei teatri francesi. Da allora Les Brigands hanno prodotto numerosi spettacoli di successo, ed è naturale quindi che la Fondazione Bru Zane abbia deciso di coinvolgerla per questo suo nuovo progetto, che ha preso il via nel novembre 2015 con un adattamento per 13 cantanti e 12 strumentisti (abilmente curato da Thibault Perrin) di un opèra-bouffe presentato giusto 150 anni fa al Théâtre des Bouffes-Parisiens: Les Chevaliers de la Table Ronde, appunto, recuperato in prima moderna dapprima all'Opéra de Bordeaux  – che insieme a quelle di Reims e di Nantes ha coprodotto l'impresa – per poi intraprendere una tournée in Francia ed approdare al Teatro Malibran nei giorni del Carnevale veneziano, in collaborazione con La Fenice, prima di riprendere la strada d'Oltr'Alpe.
Apprezzato finalmente dal vivo, Les chevaliers ha dato dimostrazione di poter contare, oltre che sulla sfrenata inventiva di un Hervè pronto a sfornare musiche irresistibili, sulle travolgenti battute di Henri Chivot e Alfred Duru, autori di un spiritoso libretto che prende in giro il mitico mondo della nobile cavalleria medievale, e trasforma i suoi alteri personaggi in comiche figure dalla vita e dalle aspirazioni decisamente piccolo-borghesi. Rodomont è un duca senza quattrini, perseguitato dai creditori; non sa che la sua preziosa corona – ultimo bene posseduto - è stata venduta di nascosto per pagare il sarto, con la complicità di Merlin, dalla fedifraga moglie Totoche che lo tradisce con il Gran Siniscalco Sacripant; la loro figlia Angélique, messa in palio in un torneo per avere una bocca in meno da sfamare, è ancora ignara del sesso, ma visibilmente ansiosa di imparare; Lancelot, Renaud, Amadis invece di raddrizzare torti, comportandosi da veri cavalieri, oziano tra futili passatempi; quanto al coraggioso Roland, si è adagiato nella molle routine impostagli da quella pasticciona della maga Mélusine (tre sonnellini al giorno, parrucchiere e bigodini, ricamo e cucito). Beffeggiare i miti più noti calandovi sopra vizi ed abitudini della società contemporanea – pensiamo a La Belle Hélène oppure ad Orphèe aux Enfers - era un procedimento assai gradito al pubblico dei boulevards; ma in più Hervé ci mette un carico da quindici, divertendosi a sua volta a parodiare i colleghi 'seri'. Ecco dunque Mélusine entrare in scena con «Oui, je suis l'enchantaresse» inanellando una serie di couplets degna di Delibes o di Gounod; Tatoche rievocare nella sua aria «Ah! Dans ma poitrine palpitante» certi accenti belliniani; il secondo atto che si chiude con un concertato di sapore verdiano mentre Roland, si risveglia da una dormita di quindici giorni - una volta svanito l'effetto d'una pozione sbagliata di Mélusine - tra spirali sonore decisaente à la Wagner. In più, da vero “compositeur toqué”, Hervé s'inventa sovente un bizzarro andamento a zig-zag che spiazza piacevolmente lo spettatore, con repentini cambiamenti di climax e travolgenti, inaspettate trovate musicali.

Bene: tanto travolgente coacervo teatrale ha incontrato nella fluida guida musicale di Cristophe Grapperon e negli strumentisti della Compagnie Les Brigandes – una dozzina solo, ma sembrava fossero un'intera orchestra - un'ideale supporto per le ritmiche incalzanti, le raffinatezze timbriche, l'elegante leggerezza; e per quella piacevole fragranza da boulevards di metà '800 profusa a piene mani. Tutto questo però non sarebbe bastato, se in scena non avessimo trovato interpreti tutti pienamente all'altezza del compito: per prima, la superlativa Chantal Santon-Jeffrey, alla quale spettava il pirotecnico ruolo di Mélusine; e poi i bravissimi Ingrid Peruche (Totoche), Lara Neumann (Angélique), Rémy Mathieu (Roland), Arnaud Marzorati (Merlin), Mathias Vidal (Mèdor), Antoine Philippot (Sacripant), Damien Bigourdan (Rodomont), Clémentin Bourgoin (Flueur-de-Neige), David Ghilardi (Amadis), Théophle Alexandre (Lancelot), Jèremie Delvert (Renaud), Pierre Lebon (Ogier).
Tutto questo spassoso demi-monde fatto di personaggi gaglioffi e simpaticissimi, dal carattere tutto parigino, viene tratteggiato con garbo delicato, saporita levità e con sottile ironia da Pierre-André Weitz, chiamato a sostenere il triplice ruolo di regista, scenografo, costumista. Scene ed abiti sembrano voler richiamare il surreale mondo del circo, con i suoi variegati protagonisti – il motivo delle righe bianco/nere domina su tutto – e nell'insieme sono un vero trionfo di variopinta fantasia; la sua regia, piena di verve, scorre come un fiume in piena, con tante piccole trovate seducenti – vedi i nobili chevaliers trasformati in barbuti ginnasti - che lasciano infallibilmente il segno. Uno spettacolo straordinario ed assolutamente indimenticabile, nel quale i primi a divertirsi sembrano proprio gli interpreti, mentre allo spettatore non resta che lasciarsi travolgere da battute e gags irresistibili, ed uscire di teatro felice ed appagato.

(foto di  M. Crescence & P. A. Weitz /Michele Crosera)

Visto il 13-02-2016