«Noi siamo della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è circondata da un sonno». - La Tempesta -
“UN SOGNO NELLA NOTTE DELL'ESTATE” è il nuovo lavoro di Civica, una rielaborazione del celebre testo del Bardo “Sogno di una notte di mezz'estate”, che proprio nel cambiamento del titolo mostra un estremo rispetto dell'opera originale ed evidenzia una personale e forte esigenza di “interpretazione” da parte del regista.
Il testo riscritto da Civica è un testo contemporaneo nel linguaggio - la cui essenza è la parola, che enfatizza la sua principale funzione, quella ludico-teatrale. Il cambiamento del titolo, come il coraggioso e azzardato cambiamento dei nomi degli artigiani - che vengono attualizzati, sono un segno evidente della profonda e per alcuni aspetti radicale operazione attuata da Civica. La struttura scenica, nella sua semplicità e nel suo minimalismo scenografico, ricrea lo spazio teatrale elisabettiano: a fondo scena Civica colloca una tenda, per creare una zona nascosta nel palcoscenico e la ribaltina in proscenio, che in seguito diventa siepe del bosco; questi sono elementi caratteristici, ma rivisti in chiave moderna e funzionale al gioco di “teatro nel teatro” tipica di Shakespeare e così pregnante nel “Sogno”. Lo spettacolo è impegnativo e complesso, sia dal punto di vista drammaturgico e registico, che da quello produttivo, in scena infatti ci sono 13 giovani attori, che interagiscono tra loro e con la sottile e complessa trama del testo.
Nella commedia si affrontano mondi diversi, che sono di difficile definizione, di difficile collocazione, poiché l’uno o l’altro, in rapporto tra di loro, possono di volta in volta assumere forma di realtà, o di fantasia, irrealtà, sogno. Sia nel testo originale che nella rielaborazione di Civica ci sono tre i mondi che si contrappongono e per ognuno il regista sceglie un codice e un registro recitativo preciso, sebbene non sempre riuscito: il mondo terreno, che a sua volta si divide in mondo della realtà - cui appartengono Ippolita, Teseo e le due coppie di innamorati, e della realtà teatrale – cui appartengono gli artigiani di Atene, che preparano la rappresentazione di Priamo e Tisbe, e infine il mondo degli spiriti, cui appartengono Titania, Oberon, Puck e le fate - sebbene in questo contesto l’espressione “realtà”, “fantasia” sono assolutamente convenzionali; se i tre mondi appaiono perfettamente separati nella struttura della commedia, ogni distinzione cessa quando tutti e tre i mondi convergono nella notte stregata del bosco/labirinto, ma in verità non sarebbe possibile dire quale sia il mondo della realtà e quale quello della fantasia, né stabilire se vi sia un mondo della realtà.
Un tema dominante in questo lavoro, come nel testo originale, è il concetto di teatralità, espresso nel mondo del teatro, uno dei tre mondi che si affrontano e intrecciano nella vicenda.
Nella realtà teatrale i contrasti sembrano ricomporsi e i nodi risolversi, poiché le ombre, il nulla, i sogni, riferiti al mondo terreno o al mondo infraterreno/iperuranico, qui vengono riferiti agli attori, alla rappresentazione.
Nel “Sogno di una notte di mezz’estate” Shakespeare pone domande sulla possibilità di mettere in scena ciò che è difficile, quasi impossibile rappresentare: il mondo magico degli spiriti, fate ed elfi, il bosco in cui queste creature si muovono, il mondo invisibile.
Civica ci mostra l’invisibile ricorrendo all’utilizzo di tecniche e segni tipicamente teatrali, dal ventriquilismo, grazie al quale le voci degli attori riescono a “scindersi” dai loro corpi per dare forma e vita alle fate e agli elfi, alla scelta del codice fisico del Teatro NO per dare “forma” ai personaggi di Titania e Oberon, che si muovono fluttuanti sul palco, come spiriti privi di corpo e peso, o almeno questo è l'intento…Civica riscrive il testo shakespeariano, la sua traduzione, risultato di due anni di lavoro, è una lettura complessa e fortemente allegorica.
Civica individua una sorta di “geometria” shakespeariana e tiene i tre mondi separati, caratterizzandoli con semplici, ma funzionali cambi di luce e di costume o ricorrendo a maschere recitative, come nel caso di Puck/Egeo, due personaggi interpretati dal medesimo attore, Mirko Feliziani - che ci offre un’interpretazione impeccabile, grazie alla sua abilità e maestria nel vestire queste maschere, riuscendo a trovare una sua personale meccanica del gesto - oppure nella doppia coppia Teseo-Ippolita e Titania-Oberon, interpretata dagli stessi attori, Oscar de Summa e Valentina Curatoli, la cui duplice natura in questo caso è affidata al cambio di costumi che insieme alle lanterne poste sulla ribalta conferisce al mondo delle fate, degli spiriti creato da Civica un’atmosfera orientale, da teatro tradizionale giapponese.
Si discosta volutamente, quasi fosse un altro spettacolo, una sorta di innesto, la vicenda degli artigiani, che si presentano come elemento di “disturbo”, una nota “meravigliosamente” stonata nello spettacolo; qui il regista si lascia andare senza alcun timore e gli artigiani ci regalano i rari momenti di divertimento e leggerezza dello spettacolo, arrivando a toccare vette di comicità demenziale, necessarie per far scorrere con più facilità le due ore di spettacolo.
La realtà teatrale, ovvero la storia degli artigiani che rendono omaggio alle nozze del re mettendo in scena la loro commedia, si sviluppa in completa antitesi al resto dello spettacolo.
Gli artigiani, cast eterogeneo che unisce elementi appartenenti alla scena teatrale indipendente - Nicola Danesi di “Tony Clifton Circus”, Riccardo Goretti, Francesco Rotelli e Luca Zacchini de “Gli Omini”(con il quarto membro, Francesca Sarteanesi impegnata invece nel ruolo di Ermia), Diego Sepe e Alfonso Postiglioni – grazie a una comicità esplosiva e travolgente riescono a sviluppare la loro vicenda come se fosse uno spettacolo nello spettacolo, estremamente comico e burlesco, con toni e linguaggio contemporanei, e “vivace” anche dal punto di vista cromatico, dal momento che ad ogni attore è assegnato un colore.
I loro “provvidenziali” interventi hanno il “sapore” del varietà – cosa non troppo distante da quello che era il teatro elisabettiano dell’epoca. La loro entrata in scena segna un cambio di registro che, di primo acchito, certamente può spiazzare, anche se non manca di coinvolgere e divertire il pubblico, dando ritmo alla commedia e questo non può che giovare allo spettacolo.
La comicità degli artigiani fa da contraltare a uno spettacolo improntato su un opposto registro recitativo. Accanto ad essi, nota divertente e divertita dello spettacolo, spicca per la “fluida ed evocativa meccanica del gesto e agile e solida presenza vocale” Mirko Feliziani, che indossa con studiata maestria le maschere e le voci del diavolo gentile (Puck) e di Egeo. Sotto tono invece risulta Oscar De Summa/Teseo-Oberon, che qui non offre una delle sue interpretazioni migliori. Debole e per nulla convincente è Valentina Curatoli che interpreta il doppio ruolo di Ippolita-Titania. Chiudono il cast gli “innamorati” Francesca Sarteanesi (sempre de Gli Omini) e Armando Iovino con Elena Borgogni e Mauro Pescio, rispettivamente Ermia-Lisandro e Elena-Demetrio, che ci offrono una performance poco convincente e non incisiva, e che a volte appaiono quasi smarriti in scena.
L'allestimento di Civica, fedele agli intenti del Bardo, mantiene ed evidenzia in chiave moderna la distinzione delle tre dimensioni dell'opera, avendo così il mondo greco di Ippolita e Teseo e dei quattro amanti, il mondo della tradizione fiabesca inglese di Oberon e Titania, e il mondo degli artigiani contemporanei. Ciascuno di questi mondi caratterizzato e differenziato nei costumi, nel registro recitativo, nel linguaggio, si muove tra un auspicabile, ma non realizzato, rigore e “senso di assoluto” del testo detto e non recitato -tipico di Civica - per il mondo greco, tra il ventriloquismo e la camminata del Teatro del NO per tradurre la magia e l'illusione del mondo delle fate, e tra uno stile contemporaneo e goliardico per gli artigiani.
Come ne “Il Mercante di Venezia”, che gli valse il Premio Ubu per la Regia 2008, Civica decide di far adottare ai suoi attori il “grado zero”di recitazione, lo scopo è farli diventare il mezzo, lo strumento per rappresentare il testo shakespeariano, in particolar modo questa scelta riguarda i personaggi legati al mondo del reale, vale a dire Ippolita, Teseo e le due coppie di innamorati, il cui registro recitativo è neutro: gli attori pronunciano, non recitano le battute, in quel ritmo veloce tipico di Civica – ma l’apparente neutralità richiede un lungo lavoro non solo sulla recitazione, ma anche sulla traduzione del testo; lo scopo di Civica è sottolineare ed enfatizzare la bellezza e la forza del testo shakespeariano, la centralità e la potenza della parola, purtroppo però questo obiettivo non è stato raggiunto, non totalmente almeno, poiché una scelta così radicale esige una recitazione coerente: c’è chi asciuga troppo le battute, chi si lascia andare, chi fatica a dire la battuta senza interpretarla, chi stona, a tratti sembra quasi che manchi una padronanza della parola e un approfondito lavoro su di essa – e che se è stato fatto, purtroppo, non emerge, anzi le battute risultano spesso calanti e non sempre sono comprensibili.
L’allestimento prevede una scena nera con due file laterali di sedute in legno (dipinte anch’esse di nero) sulle quali gli attori prendono posto una volta usciti di scena, una poltrona nera dallo stile regale e un boccascena sul fondo, ovvero un sipario, simbolo della meta-teatralità shakespeariana. Infatti, una volta definiti i tre livelli narrativi della commedia, il regista decide di mandare in scena tutti gli attori, dove li lascia anche quando l’autore li prevedeva dietro le quinte: gli attori, costretti in scena, quando si alzano non sempre trasmettono l’energia sufficiente a rivitalizzare lo spettacolo, a dargli ritmo, agiscono finché devono e poi si spengono, rendendo difficile il “compito” a chi è chiamato a raccogliere il testimone ed a portare avanti la commedia. L’impianto registico è interessante e ha dei momenti di originalità, sebbene sia possibile riconoscere la cifra stilistica di Civica – e questo non è un aspetto negativo, quanto un tratto distintivo; il lavoro di Civica ha un notevole valore, sebbene lo spettacolo non coinvolga, divida e a tratti rischi di annoiare, poiché l’esecuzione non è rigorosa, il formalismo di Civica non sempre è rispettato dagli attori e quindi perde di effetto ed efficacia, si perde nell’approssimazione, col risultato di non restituire totalmente le intenzioni del regista.
Nel “Sogno” di Civica la realtà è una complessa stratificazione di mondi che vengono rappresentati in scena evocandone implicazioni e profondità; i piani di realtà si incastrano l’uno con l’altro: il giorno con la notte, la fantasia con la realtà, e il teatro che le rappresenta e le comprende. Progressivamente i confini dei piani di realtà si fanno sempre più labili, evanescenti e si compenetrano: in questa versione del “Sogno” shakespeariano viene sottolineata la capacità del teatro di “sognare” la realtà, non per renderla evanescente, ma per renderla intelligibile e comprensibile. Il lavoro di Civica sintetizza con una linearità minimalista ma efficace l’idea elisabettiana di ambiente scenico, in cui si utilizzano “soglie” non pareti, trucchi illusionistici ed elementi allegorici, giochi di luci ed elementi simbolici.
In conclusine l’allestimento di Civica è complesso e complicato, non è una somma armonica delle singole parti, bensì risulta uno spettacolo frammentato e discontinuo, in cui i momenti che ridestano il pubblico sono quelli in cui in scena ci sono gli artigiani con la loro vitalità ed energia travolgente oppure in cui c’è Puck/Egeo, di cui Feliziani ci regala un’intensa e notevole interpretazione.