L'allestimento del “Sogno di una notte di mezza estate” è il risultato di un grande studio e ricerca di Massimilano Civica che attraverso un approccio storico e filologico tenta di “portare verso un Teatro Popolare d'Arte, che sappia coniugare realtà, rigore, illusione e magia”.
Civica parte dalla ritraduzione del testo: basandosi sulla versione ultima del copione (quella del 1623 corretta e rivista dello stesso Shakespeare dopo numerose rappresentazioni) il testo diviene contemporaneo nel linguaggio mantenendo, anzi riportandolo in vita, l'essenza e il gioco della parola senza cedere alla tentazione di far letteratura ma restando ancorato alla sua principale funzione: quella teatrale. Non è quindi una mera operazione di marketing il cambio del titolo in “Sogno nella notte di mezza estate” ma il segno evidente di un'operazione più profonda che trova la sua maggiore evidenza nel coraggioso cambio dei nomi degli artigiani che se pur attualizzati, come del resto il loro scurrile linguaggio e comportamento, mantengono quella “funzione parlante” escogitata da Shakespeare.
Filologicamente corretta è pure la struttura scenica che nella sua semplicità ricrea lo spazio teatrale elisabettiano con a fondo scena la tenda per creare una zona nascosta nel palcoscenico e la ribaltina in proscenio che diviene siepe del bosco: elementi caratteristici ma rivisti in chiave moderna e funzionale a quel gioco di teatro nel teatro caro a Shakespeare e così pregnante nel “Sogno”.
Fedele all'intenzione del Bardo l'allestimento mantiene ed evidenzia in chiave moderna la distinzione delle tre dimensioni dell'opera e così abbiamo il mondo greco di Ippolita e Teseo e dei 4 amanti, il mondo della tradizione fiabesca inglese di Oberon e Titania, e il mondo degli artigiani contemporanei. Ognuno di questi mondi caratterizzato e differenziato nei costumi, nella recitazione, nel linguaggio andando dal rigore e “senso di assoluto” del testo detto e non recitato tipico di Civica per il mondo greco, al ventriloquismo e alla camminata dei fantasmi del Teatro del Nō per rendere la magia e l'illusione del mondo delle fate, allo stile contemporaneo e goliardico degli artigiani.
Gli ingredienti sono tanti e il valore sulla carta notevole ma lo spettacolo non coinvolge, divide, annoia. L'esecuzione non è rigorosa, non è pura e perciò perde di effetto: il formalismo di Civica non sempre è rispettato dagli attori che spesso si lasciano trasportare dall'azione; il ventriloquismo e le camminate da Teatro Nō si perdono nell'approssimazione e non rendono le intenzioni del regista.
Il risultato non è un armonica somma delle singole parti e ci troviamo di fronte uno spettacolo frammentato dove la parte del leone, anche se di peluche, la fa lo spettacolo degli artigiani - grazie soprattutto alla compagnia degli Omini – che ridesta il pubblico con le sue gag dal torpore di un sogno troppo concentrato su se stesso.