“Io non voglio il realismo”dice Blanche.
Questa affermazione è il filo conduttore, il punto di partenza del lavoro di Latella, la sua potente dichiarazione d’intenti, di una poetica e di una cifra stilistica che viene portata alle estreme conseguenze, conducendoci in una realtà sospesa, in una dimensione dai contorni sfocati, non definiti, dove il tempo si dilata e si restringe, è frammentato, frantumato, a pezzi, come l’anima dei protagonisti.
Latella affronta una sfida ardua, si confronta con un classico della drammaturgia americana contemporanea, uno dei capolavori di Tennessee Williams: “Un tram che si chiama desiderio”, datato 1946, noto al grande pubblico per la straordinaria versione cinematografica di Elia Kazan , che firmò anche il primo allestimento teatrale, con una intensa Vivien Leigh e un Marlon Brando in stato di grazia.
Latella depura volutamente il suo lavoro da qualsiasi classicismo stilistico: dall’allestimento della scena, all’utilizzo delle luci, fino al trattamento e alla rielaborazione del materiale drammaturgico.
La scena è ingombra di mobili vari, che evocano i vari ambienti della casa Kowalsky, una singolare armonia lega l’arredamento minimale alla tecnologia illuminotecnica che sovrasta il palco: proiettori e alto parlanti disseminati ovunque, un occhio di bue troneggia su un tavolo circolare posto in proscenio – che verrà poi manovrato dagli attori sugli altri attori - e alcune sedie, un frigo nel quale è posizionata una lampada stroboscopica, un letto sormontato da una testata barocca provvisto di neon è collocato sul lato destro della scena e sulla sinistra un lavabo e in fondo, una vasca da bagno cela una macchina per le bolle, in proscenio una sedia da ufficio e accanto un paralume rosso. Tutti gli elementi scenografici sono in legno di betulla, dotati di ruote: sono scheletri, strutture esili, oggetti sventrati, svuotati al cui interno sono incastrarti, come protesi meccaniche, riflettori e amplificatori.
Questa è la scena che Latella ha composto per condurre lo spettatore nella mente turbata e dilaniata di Blanche, la protagonista del dramma di Williams.
L’ambientazione è nel favoloso e mitico Sud di Williams, siamo in una torrida New Orleans dalla collocazione temporale poco chiara, luogo in cui l’uomo contemporaneo celebra la sua decadenza e la sua fine, i temi che il dramma affronta sono, ancora una volta quelli del sesso e della violenza.
Al centro della partitura teatrale ritroviamo una figura di donna spezzata, alcolizzata, ninfomane sino alla demenza – una creatura profondamente segnata da un trauma che l’ha fatta progressivamente scivolare nel baratro.
Williams, come Latella, decide di non immergere i suoi personaggi in un concreto tessuto di circostanze e vicende storiche. I personaggi di Williams sono giovani inquieti e malati, le sue donne perdute che tentano di ritrovare se stesse attraverso un disperato ritorno ad uno stato materno, sono le figure-simbolo di una tragedia che non è solo dell’America di oggi.
L’ossessione di Tennessee Williams per la figura femminile, per le sue debolezze e le sue molteplici sfaccettature psicologiche persiste anche nella lettura di Latella.
In scena sei attori, interpreti che danno vita e corpo al dramma di Blanche: Rosario Tedesco, il medico che alla fine condurrà Blanche in casa di cura, ripercorre la storia della donna, citando le didascalie dell'autore – è una sorta di psicodramma, a cui prendono parte la stessa Blanche DuBois, nervosa e intensa, il rude e sanguigno Stanley Kowalski, spregiudicato marito d’origini polacche di Stella, l’emancipata sorella di Banche - che nonostante il suo spirito ribelle e indipendente è totalmente succube del marito e Mitch, l’amico di Stanley, l’impacciato spasimante di Blanche.
Gli altri personaggi vengono interpretati dallo stesso dottore e da Annibale Pavone, che dalla locandina apprendiamo trattasi dell'infermiere: assistiamo a una mise en espace, ci viene raccontata la storia di quel rapporto morboso e distruttivo consumato all'interno delle quattro mura di casa Kowalski.
Gli attori interpretano con pathos, intensità ed estrema fisicità il dramma, riuscendo a restituire le molteplici sfumature psicologiche dei personaggi, i conflitti interiori e le dinamiche interpersonali.
Il progetto di Latella è ambizioso, non scontato e alquanto complesso, la centralità dello spettacolo non è più il testo, ad esso infatti Latella antepone in maniera preponderante la sua visione registica : non a caso il protagonista della vicenda, in un certo senso, diventa il dottore, ovvero l’alter ego del regista, interpretato da uno dei suoi attori cult Rosario Tedesco, che di fatto porta avanti le fila della storia, e che alla fine si farà letteralmente carico del dolore che affligge l’animo e il corpo di Balnche.
Il dottore dà il via allo spettacolo, presentandosi alla sala ancora illuminata e recitando le didascalie e le battute iniziale, come un telecronista che descrive puntualmente i personaggi – dandogli anche voce, i contesti e le vicissitudini.
È un testimone, talvolta incalzante e a tratti invadente, per poi farsi silenziosamente partecipe e discreto, ma di fatto è lui che in un certo senso muove i personaggi, come un burattinaio, come un regista e li manipola, in particolare la sua azione si vede su Blanche, interpretata da una Laura Marinoni, qui in uno stato di grazia, straordinariamente vera, credibile, che ci regala una Blanche intensa, vibrante, viva, una diva anni 30, fragile e pericolosa.
Il testo di Tennesse Williams è un testo vivo, disperato, che scava, che cerca di sviscerare l’anima vera, non patinata, di un’America che nel secondo dopoguerra si affannava a trovare una propri identità culturale, dovendo fare i conti con le proprie innumerevoli discrepanze e le contraddizioni intrinseche: il sesso e la violenza, la disperazione e lo squallore delle vite raccontate da Williams sono l’altra faccia dell’America. Latella tralascia un po’ questa chiave di lettura, abbracciando una visione più POP: vediamo uno Stanley, interpretato da Vinicio Marchioni, che indossa una serie di t-shirt con l’immagine di Marlon Brando – divertente quest’auto-citazione, a tratti volutamente trash – e che parla un’improbabile quanto a tratti fastidioso polacco – che più che polacco sembra slavo; oppure una Stella, interpretata da Elisabetta Valgoi che dal pancione estrae coriandoli e un Mitch, interpretato da un intenso Giuseppe Lanino, che mostra una fisicità prestante, lontana dall’immagine dell’impacciato e timido obeso, che una volta scoperta la verità su Balanche, invece di aggredirla ed essere poi cacciato da lei, figge via da solo, dopo un goffo e mal riuscito tentativo di autoerotismo.
Latella si prende molte libertà, non stravolgendo totalmente il testo, ma lo rielabora attraverso la sua personale sensibilità e visione: "Un tram che si chiama Desiderio" diventa altro da sé, diventa Tennesse Williams secondo Latella. E alla fine non è quello che fanno i grandi registi, prendono un testo e lo fanno loro, in un certo senso Latella è rimasto fedele a Blanche, che non voleva realismo.