Scheletri di mobili ammassati alla rinfusa sul palcoscenico, una vasca, un frigorifero vuoto, rumori a tratti assordanti, una lampada stroboscopica e tante luci puntate in modo a volte impietoso negli occhi degli spettatori così da ottenere quell’effetto straniante con cui Antonio Latella vuole farci rivivere dall’interno il dramma di Blanche, la tragedia tutta psicologica di una donna fragile che non ha saputo sostenere drammi ed inconvenienti della vita, cercando la salvezza dall’altrui indifferenza attraverso una metodica distorsione della realtà. È un cammino a ritroso quello che ci viene proposto, grazie anche all’ausilio del dottore che nel dramma originario compare solo al termine di tutto e che qui, invece, è onnipresente corifeo, guida, demiurgo e, in ultima istanza, unico coadiutore di Blanche. Il racconto appare così filtrato dalla psiche della protagonista e il regista, attraverso l’espediente teatrale dei rumori assordanti di fondo utilizzati in alcuni momenti topici o dei fari puntati sui protagonisti e sul pubblico, evidenzia tensioni, blocchi, rifiuti e ci ricorda quanto ciò che avviene in scena non sia altro che un’operazione di tipo psicanalitico con evidenti tratti onirici come nel momento del parto di Stella, l’unico forse che non ci è parso del tutto felice, in cui la gestante estrae dal ventre manciate di coriandoli.
A dir poco straordinaria la Blanche di Laura Marinoni, spossata fin da principio dai suoi stessi pensieri, ossessionata dall’ormai tramontato benessere economico, al tempo stesso sedotta e respinta dalla mascolinità primitiva di Stanley che a volte pare infastidirla altre intrigarla, prigioniera di un passato segnato da amori infelici, morti e malattie, alla perenne ricerca di un calore umano fatto anche di formalismi e gentilezze. Il gesto è parco, la posa generalmente statica, lo sguardo spesso fisso; la recitazione è drammatica, interiorizzata, a tratti compressa e tesa, nella frenesia espressiva tipica di chi, colto dall’isteria, soccombe di fronte al flusso inarrestabile dei propri pensieri e sentimenti e che, messo davanti alle proprie menzogne, non è più in grado di sostenersi. Di grande livello anche l’interpretazione della figura di Stella operata da una bravissima Elisabetta Valgoi che ben rende la rassegnazione di una donna infelice nel profondo, la quale mente a se stessa e al mondo mostrandosi a tutti appagata di un matrimonio in realtà fallimentare, legata a doppio filo alla sorella, senza però mostrare la forza di combattere in sua difesa nel momento cruciale. Tra le figure maschili Stanley è un ottimo Vinicio Marchioni che mostra i muscoli, cambia tre volte maglietta con l’immagine di Marlon Brando, seduce con modi brutali, è grezzo ed egoista e finisce col risultare l’unico personaggio totalmente negativo. A lui si contrappone il Mitch di Giuseppe Lanino sensibile e impacciato che, schiacciato dalla poliedricità di Blanche, non riesce a rapportarsi con lei, la rifugge e si rifugia nell’autoerotismo. Filo conduttore della vicenda, come detto, è il dottore, magistralmente interpretato da Rosario Tedesco e coadiuvato dall’infermiere (Annibale Pavone) che manovra i riflettori: egli funge da voce fuori in campo, da coscienza, da maestro dell’arte maieutica e cerca, attraverso la lettura delle didascalie, di favorire e stimolare, spesso non obbedito, gli altri in questa operazione di indagine interiore. Uno spettacolo davvero imperdibile!