Un'accurata disposizione di tinte pastello accoglie i protagonisti di una vera e propria Casa delle Bambole, riprodotta in un consono stile vittoriano richiamato da intonaci, tavolo ed accoppiamenti cromatici. In questo ambiente, con passi che quasi toccano le note di un glokenspiel, entra Nora (Marina Rocco), di soppiatto, dalla platea, impossessandosi subito di uno dei suoi due volti, entrambi sostenuti in maniera assai convincente ed intensa, sia l'allodola saltellante e disponibile verso il marito-padrone-ma-nemmeno-tanto, sia l'ormai ex moglie devastata dal tormento e dall'anelito alla vita, anche quando solca il limen fra le due versioni con presagi accennati (“Credete tutti che io sia capace di vivere solo di leggerezza...?”).
Lo stesso può dirsi di Filippo Timi, il quale però non fra due volti di uno stesso personaggio deve dividersi, ma addirittura fra i quattro (contiamo anche la trasformazione di Torvald Helmer) dei tre personaggi principali, poiché la scelta è quella di interpretarli tutti, in modo da simboleggiare anziché uno o tre uomini, l'intero genere umano di sesso maschile in qualche modo accomunato, quello “contro” cui infine si rivolta Nora, effetto reso ancor più esplicito nel momento in cui una delle trasformazioni avviene proprio in bella vista, con una vera e propria passerella, cantando My funny Valentine. La triplice interpretazione di Timi, fra il sardonico Dottor Rank, il torvo Procuratore Krogstad ed il convenzionale avvocato Helmer, si svolge quindi necessariamente con ripetuti cambi di personaggio e di vestizioni, che in un paio di occasioni tuttavia sono tanto veloci, da risaltare un po' troppo come un virtuosismo tecnico in sé stesso. Ecco, questo non poteva mancare, la sorpresa sarebbe stata invece osservare come Ibsen avesse limitato Timi, senza farsi coinvolgere in imitazioni di un cinese e qualche lazzo.
Dall'ambiente ai movimenti ai cambi di situazione, sono efficaci le scelte che descrivono la vita di questo matrimonio che osiamo definire di riferimento fondamentalmente non troppo mutato nei tempi, accentuato da una figura di bambina viziata a suo agio dentro la sua bella casa, coriandoli di neve, luci calde che si intirizziscono nel finale. L'atmosfera via via si inquieta e trasmette con note ed espressioni il mutamento interiore di Nora che è soprattutto disvelamento di un antico tormento, un senso ben accresciuto dal ripetersi degli sguardi dei domestici che spiano le conversazioni, origliando agli stipiti.
L'unica cosa che forse non si ravvisa, è la tensione politica che fu scandalo ed oscenità, all'epoca di Ibsen, quando Nora fu indicata ad esempio dal femminismo e nemica di ogni benpensante, o successivamente da Gramsci come sorella del proletariato. Se lo si cerca, si fa fatica a leggere il tema dell'indipendenza e della rivoluzionaria scelta della messa in discussione dei Tempi (piuttosto che, come appare qui, a causa della sua limitata e personale delusione), ed anzi se si ha questa aspettativa, la rilettura potrebbe perfino risultare reazionaria.