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DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

Una messinscena indigesta

Una messinscena indigesta

Di PIlade lo stesso Pasolini ha dato spiegazioni se non proprio contraddittorie solo parzialmente convergenti, come precisano Walter Siti e Silva de Laude nella bella edizione del Teatro pasoliniano pubblicata per i Meridiani. Pasolini si inserisce in una narrazione mitologica consolidata (la trasformazione di Atena delle Furie in Eumenidi, il passaggio cioè dalla rabbia irrazionale a quella che sostiene la razionalità) per approntare una lettura profonda del potere capitalista che sovrasta le democrazie liberali (Oreste che vuole abdicare e dare il potere al popolo di Argo) ma che per resistere alla reazione di sua sorella Elettra, legata a quel potere, si vedrà costretto ad alleanze contrarie alla sua volontà. Per questo verrà combattuto dal suo amico d'infanzia Pilade che, come i partigiani, libererà Argo dal suo giogo. Ma abbandonato dalle Eumenidi Pilade dovrà fronteggiare da solo il baratro del potere corruttore.
Per quanto parziale questa interpretazione del testo (che deduciamo da un articolo di Pasolini pubblicato su Paese Sera in risposta a una critica alla prima messa in scenda della tragedia1) spiega i significati profondi di un testo corposo nel quale i vari passaggi e le tematiche care a Pasolini sono scandite bene dal coro che ha una funzione fondamentale (pedagogica) per la sua comprensione.
Bruno Venturi affronta il testo in maniera astratta, metafisica, anche in senso pittorico, nella scena spoglia campeggia una gigantesca riproduzione di un'opera di Lino Frongia, che firma anche i costumi, che copre tutta la parete di fondo del palco.
Venturi cancella, sfronda, rende ostico quel che Pasolini vuole chiaro. Chiama a recitare Manuela Kustermann, dalla dizione perfetta, affiancandola ad Antonio Piovanelli, famoso per il suo lavoro sull'attore in poesia, a Oreste Braghieri e a un giovanissimo Salvatore Porcu. In opposizione alla recitazione perfetta di Kusterman gli attori hanno un accento, qualche problema di articolazione delle parole (soprattutto Braghieri) che rendono a tratti difficile la comprensione del testo, nonostante la recitazione sia lenta e declamatoria. Braghieri è impreciso e impacciato nel muoversi sulla scena, cui si oppone una notevole prestanza fisica del giovane e atletico Porcu. La loro recitazione è tutt'altro che naturalistica, cozzando con quella psicologica, e impeccabile, di Kustermann.
La regia sembra preoccuparsi più della letterarietà del testo che all'urgenza drammaturgica che ogni messinscena richiede, fosse anche per rifiutarne la necessità. Ma se l'intenzione è per una lettura-declamazione del testo (tranne Kustermann che, nvece, <i>interpreta</i>) risultano contraddittorie le entrate e le uscite di Manuela Kusterman con una sagoma di profilo sul viso, con delle rose rosse che poi diventano secche. Non si spiegano nemmeno gli impacciati passi di danza (?) di Braghieri, o il bue gigante che cala all'improvviso dall'alto sulla scena. Questi elementi di regia si inseriscono in un vuoto drammaturgico dove solo il testo sostiene la messinscena e non una ricerca sul testo nella sua "messa in scena". La bellezza di Salvatore Porcu, è usata come nelle foto di Von Gloeden: il ragazzo resta a torso nudo per tutto lo spettacolo, senza che ci sia un richiamo preciso al testo facendosi notare come allusione metatestuale all'omosessualità di Pasolini.
Una messinscena che invece di aiutare lo spettatore a capire il <i>perchè</i> del Pilade, cioè perchè si è scelto di metterlo in scena, contribuisce a rendere ancora più oscuro un testo già di per sé non di immediata comprensione. <i>Pilade</i> risulta dunque uno spettacolo ostico, a tratti noioso, cerebrale, che non sa (o non vuole) emozionare. Lo spettatore è posto di fronte a un'opera che non è oscura solo nei suoi significati reconditi, ma anche nei suoi sviluppi narrativi, così tagliati e ridotti rispetto il testo originale. Il risultato è uno spettacolo che pur avendo un certo fascino formale, è come un frutto che invita a essere mangiato ma risulta poi indigesto.


1) Una lettera di Pasolini, "Paese Sera" 3-4 settembre 1969, citata in Walter Siti e Silvia de Laude (a cura di) Pier Paolo Pasolini Teatro I Meridiani Mondadori 2001 p. 1160

Visto il 07-10-2010