Quanti romani potrebbero raccontare una disavventura legata a quella prima notte bianca organizzata nella Capitale nel 2003, con esito disastroso? Tra temporale, black out e disservizi, di testimonianze più o meno grottesche ce ne sono sicuramente a bizzeffe. Ma se lo spunto viene da uno degli inconvenienti più ovvi – tre persone che restano chiuse in ascensore – il testo di “Una notte bianca”, primo grande successo di Gabriele Pignotta che ha reso nota la sua compagnia, ha subito messo in chiaro che per l’autore qualsiasi episodio è solo un pretesto narrativo per dare libero sfogo ad una comicità innata che va decisamente a di là delle situazioni descritte e che si arricchisce principalmente grazie al contributo apportato dai bravissimi interpreti, primo fra tutti il compagno si scena immancabile Fabio Avaro e alla loro capacità di risultare veri e vicini al pubblico.
La premessa dei primi minuti chiarisce in un crescendo di tensione la difficoltà della condizione dei protagonisti: la corrente – nonostante il tentativo di usare la forza del pensiero - non accenna a tornare, la palazzina ospita prevalentemente uffici e a quell’ora è quasi disabitata e comunque l’ascensore è bloccato proprio tra un piano e l’altro; inoltre i cellulari non ricevono. Se all’inizio le timide e poco sensate iniziative di ciascuno per uscire di lì sono spesso contrastanti, poco a poco i tre uniscono forze e fantasia per far fronte alla situazione, facendo esplodere la comicità e le risate del pubblico, come nel corso di preparazione per ovviare ad eventuali attacchi d’asma della ragazza.
Non a caso, i ragazzi che si incontrano nell’ascensore sono uno più singolare dell’altro, a tratti estremi e caricaturali: un’ansiosa asmatica ed un ipocondriaco, mitigati dalla presenza del ragazzo che consegna le pizza, pratico e diretto, spesso ironico e con la tendenza a sdrammatizzare e a prendere in giro gli altri. Non mancano considerazioni sul destino che li ha fatti incontrare e di conseguenza sulle loro vite, il lavoro, lo studio, i sogni, il passato ed il futuro o anche il loro aspetto estetico che si fermano ad analizzare da “fuori” come spesso non hanno tempo di fare. Ma dal momento di serietà o di nostalgia si passa nuovamente alla risata esponendo le teorie più folli sull’esistenza, sulla filosofia o sulla politica, ideando rapidi corsi di autostima, in un ritmo spedito e trascinante.
Minuta la scenografia che riproduce l’interno dell’ascensore, sfruttando solo un riquadro limitato del grande palco del Teatro Roma, esaltata da abili giochi di luce.