Una stanza piccola, disordinata, sporca, che somiglia più a un magazzino ricolmo di cose che a un ufficio. Una finestra dà sul cortile. Al centro campeggia una scrivania dove un uomo dorme, riverso su documenti sparsi e bottiglie di birra. Quando qualcuno bussa alla porta, l'uomo, che fino a un secondo prima dormiva russando rumorosamente, si sveglia repentino,
lucido e presente a se stesso. L'uomo che bussa è Vanek un sottoposto della fabbrica di birra. A riceverlo, destato dal sonno etilico, è il direttore della fabbrica.
Dalle domande del direttore scopriamo che Vanek era un drammatrugo e che ora ha lavora presso la fabbrica con il compito di trasportare i barili vuoti. Il direttore beve continuamente birra e ne offre in continuazione anche a Vanek, che, non bevendo birra, svuota il boccale in quello del direttore quando questi lo lascia solo per andare in bagno. Il direttore tergiversa, gli chiede di un'attrice, gli strappa la promessa di presentargliela, ma non affronta la questione per cui lo ha
mandato a chiamare. Tra domande ripetute (è sposato? ha dei figli?) e continue rassicurazioni (Non deve essere triste) alle quali Vanek risponde sempre con lo stesso tono, tra numerosissime bottiglie di birra aperte e bevute e
continue minzioni (durante le quali Vanek versa sempre la sua birra nel bicchiere dell'altro) il direttore scende nel personale, racconta del suo passato, di quando il lavoro in fabbrica era diverso, di come ha dovuto rinunciare persino al gioco delle carte perchè aveva insospettito i superiori. Racconta di come sia finito in quella fabbrica malandata in seguito a
un'accusa di appropriazione indebita (di birra), quando era il direttore di una delle migliori fabbriche di birra del Paese. Tra commenti sul comportamento di altri lavoratori, e critiche alle visite inopportune che Vanek riceve a casa sua (alle quali
risponde stizzito che avrà pur diritto a far quel che vuole nel tempo libero e il direttore gli dà ragione garantendogli inalienabili/i> diritti), il direttore finalmente arriva al punto e spiega che ogni settimana deve redarre dei rapporti proprio su di lui e visto che non sa mai che scrivere, spera sia Vanek stesso a scrivere quei rapporti, mettendoci quel che crede, promettendogli, in cambio, una diversa destinazione lavorativa, in un reparto dove non fa tanto freddo. Vanek
rifiuta dicendosi contrario per principio alla delazione. Il direttore si dispera, lo implora mentre cerca di convincerlo dicendogli che un domani potrà tornare a scrivere teatro mentre lui, il direttore, è e rimane nessuno; piange persino, dicendogli che ha due figlie e una moglie da mantenere. Poi sviene tra le sue braccia cadendo addormentato per tutta la birra che ha bevuto. Vanek lo trascina sulla scrivania e lo lascia lì, riverso, a dormire.
Passa del tempo e quando viene nuovamente a trovare il direttore che, come al solito, dorme, ubriaco. alle stesse domande dell'uomo, Vanek risponde con lo stesso intercalare del direttore...
E' molto difficile narrare la vicenda raccontata ne L'udienza di Havel, atto unico scritto nel 1975, dopo l'invio dei carri armati russi che spensero le promesse della primavera di Praga, perchè il suo vero argomento è contenuto nel
sottotesto, in quel che c'è di implicito, di non detto, quello cui rimandano i dialoghi di Vanek e il direttore e cioè quel clima di sospetto e di repressione di un regime che costrinse gli intellettuali, considerati "dissidenti" solamente per aver criticato l'operato del partito, al silenzio e a lavori di manovalanza.
Il sospetto può essere destato da ogni comportamento, non solo quelli di Vanek e degli altri dissidenti come lui (gli operai della fabbrica sono lì per varie ragioni, anche l'appartenenza a una particolare etnia di per sé è motivo di sospetto...) ma anche quelli dello stesso direttore (il gioco delle carte...) al punto tale che il direttore è talmente preoccupato di non essere all'altezza del suo compito da chiedere allo stesso Vanek (che è scrittore) di redarre lui le relazioni settimanali...
Una mania di vedere cospirazione in qualunque cosa e in nessuna, che caratterizza la mente contorta di chi, consapevole della possibilità che il socialismo in un paese solo possa essere spazzato via in ogni momento, vede in ogni difformità, un attentato agli ideali del socialismo tanto diversi dai corollari pratici messi in atto per la loro difesa.
Il direttore sembra a tratti un personaggio grottescamente sfigurato da una mentalità burocratica e sospettosa, ma Havel è intelligente nel mostrarcene l'umanità, mentre ne rivela i limiti e la piccolezza. D'altronde nemmeno Vanek è immune da difetti e la sua sciocca purezza idealistica (parla di delazione quando in realtà il direttore gli sta proponendo di imbrogliare i suoi superiori con falsi resoconti) non gli evita di adeguarsi ben presto agli standard del direttore.
Nulla ci viene spiegato i>direttamente di tutto questo nel testo, sviluppato con registro realistico, ma raccontato in
chiave grottesca e con momenti squisitamente comici. La sua forza e la sua efficacia stanno proprio nella capacità di costituirsi come denuncia prorpio perchè non mostra direttamente l'operare della repressione ma solo le sue conseguenze nel quotidiano. Il testo è agghiacciante nella sua efficacia nel dire tutto dicendo (apparentemente) nulla. La forza di
denuncia civile che lo sostiene deriva ad Havel in parte dalla sua statura di intellettuale (fu tra i segnatari di Charta 77 un documento nel quale gli intellettuali Cecoslovacchi criticavano l'operato del governo) e molto dalle sue personali vicissitudini. Radiato all’Associazione degli scrittori cecoslovacchi Havel fu messo a tacere come tutti gli altri intellettuali e costretto a un lavoro manuale, diventando testimone di un'epoca, caratterizzata, per sua stessa definizione, dal post-
totalitarismo quando la gente, cioè, viveva all'interno di una menzogna".
L'opera di critica al sistema di Havel non si è limitata alla letteratura e al teatro ma è diventata direttamente politica quando, dopo la caduta del blocco sovietico, Havel diventa Presidente, prima della confederazione Ceco-Slovacca, poi della sola
repubblica Ceca, distingeundosi per una politica liberale di destra, capitalista e fin troppo filo-americana (fu l'artefice dell'entrata della repubblica Ceca nella NATO, nel 1999). Mentre scriviamo Václav Havel è in ospedale in condizioni critiche (affetto da polmonite).
Pietro Bontempo (che oltre alla regia firma anche le scene e interpreta Vanek) approccia il testo scegliendo un registro verista dalla scenografia (che riproduce con cura particolare il caos che regna nell'ufficio del direttore) alla cura con cui restituisce le psicologie dei personaggi: il direttore burbero, alcolista ma susseguioso e naif nella sua gestione del potere e Vanek, vittima di un sistema che lo umilia, ma convinto anche di una superiorità (camuffata da ironia nei confronti del
direttore), un'intima convinzione di essere migliore di quel che lo circonda, anche se gli eventi dimostreranno, alla fine, che non è prorpio così. Non convince però la scelta performativa di fare bere ad Abbati litri di birra (birra vera, bevuta per davvero). A meno di non voler tornare ai quarti di bue messi in scena da Appia ai tempi del teatro
verista, questa scelta si presenta come un chiaro intento di rottura con la tradizione del teatro che normalmente vuole mimati l'atto del bere (e del mangiare) e che si fonda sulla performance dell'attore (e Abati ha davvero una notevole resistenza alla birra) in quella visione contemporanea del teatro che si distacca dalla tirannia del testo. Non si capisce infatti perchè insistere su un elemento così concreto in uno spettacolo la cui letterarietà serve come indice per una realtà seconda, allusa, sottintesa ma non detta.
E' come se Bontempo avesse scelto un correlativo oggettivo per 'inquietudine di quel clima politico, dei sospetti e delle delazioni, che nel testo emerge tra gli interstizi dei dialoghi e che invece il regista immette direttamente nella scena con la presenza concreta quella della birra che irrompe in tutta la sua schiumosa presenza.
Una scelta di regia che rischia di smorzare l'arguzia politica e la graffiante denuncia che innervavano il testo originale nonché di attirare troppo l'attenzione su quel di grottesco e di comico che c'è nella pièce, dimenticandosi di quell'oltre cui tutto il testo allude. Per cui alla fine lo spettacolo si impone più per la prova dei due attori (notevoli e perfettamente in parte) che per quello cui il testo allude. Un nodo che lo spettacolo non scioglie e che, per quanto affascina e intriga, non può essere considerato risolto.
Roma, Teatro Piccolo Eliseo fino 13 gennaio 8 febbraio 2009
Visto il
al
Tordinona - Sala Pirandello
di Roma
(RM)