Le Malentendu fu scritto da Camus nel 1943, in piena seconda guerra Mondiale, nella Parigi occupata dai tedeschi.
E' a quel contesto che la situazione in esso rappresentata nonché alcuni riferimenti ad altri Paesi, al sole agognato in opposizione al buio del Paese in cui vivono le due protagoniste, deve essere riferita per avere un'idea precisa dell'impatto che Il malinteso ebbe sul pubblico che lo vide in scena allora. L'orrore per gli assassini commessi da due donne, madre e figlia, proprietarie di un albergo, che uccidono le loro vittime per denaro, omicidi che negli anni sono l'unico evento a riempire due vite altrimenti vuote, visto in controluce con l'orrore nazista, con la guerra e l'occupazione della Francia ha un significato molto più potente e immediato di tutte le letture colte che, su Il malinteso, sono state successivamente fatte.
Dall'assenza di dio come condizione esistenziale dell'uomo (quel servo vecchio e muto la cui unica parola proferita è il no per declinare l'aiuto chiesto dalla moglie dell'ultima vittima delle due donne che si è rivelato essere figlio e fratello) alla castrazione come coordinata esistenziale delle due protagoniste, quello che sfugge a queste letture è il dato concreto della coordinata storica della guerra.
Nell'allestire La madre, che Fallai ha desunto dal testo originale, deve aver tenuto conto del fattore comune che legava il pubblico di allora e da come questo sia oggi perso.
Fallai decide di intervenire sul testo non solo portando in scena solo le due donne omicide, madre e figlia, ma anche il pubblico di spettatori venuti ad assistere al La Madre che, nella finzione teatrale, diventa il pubblico in studio venuto ad assistere a una puntata in diretta della trasmissione Crimina, dove la conduttrice del programma interroga l'albergatrice omicida che, durante l'intervista, in una delle pause pubblicitarie, capiamo essere la madre della presentatrice. Al pubblico di Crimina la conduttrice, prima dell'inizio della diretta, chiede di assistere in silenzio, e di non applaudire per retorico rispetto alle vittime della donna che si è addossata tutta la colpa di quei delitti.
Così focalizzando Lulli può far emergere alcuni elementi del dramma di Camus altrimenti trascurati dalle letture esegetiche.
Una certo maschilismo implicito del dramma che relega la donna alla sua funzione procreatrice, figlia dei tempi ma sintomatica di un pensiero maschile che non sa emancipare la donna mentre, pare proprio di capire, l'assenza di uomini (il marito, morto prima dei delitti e il figlio) lascia le due donne con una vita vuota.
L'amore filiale della conduttrice che, per rimanere vicino alla madre, ha sacrificato una vita autonoma vagheggiandone un riscatto in un altrove pieno di sole.
L'importanza per la madre di quel figlio che ha ucciso senza volerlo, non lo ha riconosciuto, nonostante i venti anni di sua lontananza e di silenzio.
La rabbia e la stizza della figlia perchè il suo sacrificio non vale la gioia del ritorno del fratello la cui uccisione inconsapevole mette fine a quel gioco di morte che, negli anni, aveva tenuto unite le due donne: la madre si denuncia e sia addossa tutta la colpa ma per la figlia questo gesto non è un riconoscimento sufficiente del loro legame. Ai suoi occhi per la madre è più importante la morte di un fratello assente che dopo aver vissuto altrove era tornato, in incognito, per rendere la vita delle due donne felice.
La scena, felice, suggerisce con pochi indovinati e precisi elementi (10 televisori a tubo catodico nei quali vediamo scorrere le immagini della sigla di Crimina, prima, e poi, in bianco e nero, madre e figlia dialogare in un altro contesto narrativo, forse quello pensato da Camus) lo studio televisivo nel quale il pubblico viene fatto accomodare su due lunghissime doppie panche rosse messe a V col vertice opposto alla schiera di televisori dove campeggiano due poltrone antiche.
In questo studio televisivo avverrà la doppia agnizione, quella della madre che si difende e si giustifica per non aver riconosciuto il figlio (morto in realtà per mano della sorella) e quella della figlia che confessa in diretta la sua complicità negli omicidi commessi fino al finale, splendido che, sollevato il telo nero che fa da sfondo allo studio, mostra la madre salire le scale di platea del teatro allontanarsi mentre la figlia muore suicida.
La madre ha il raro pregio di essere uno spettacolo che funziona di forza propria, anche ignorando il testo da cui è liberamente tratto, e funziona vieppiù per chi, conoscendo quel testo, sa apprezzarne il lavoro di riscrittura dai dialoghi tra le due donne dell'originale all'intervista tra conduttrice e assassina, dove l'intervento drammaturgico sul testo originale pur essendo sensibile e sostanziale sa rispettare lo spirito dell'opera specialmente nel rapporto che questa ha (aveva) con il pubblico contemporaneo alla sua creazione e messinscena.
Uno spettacolo pienamente riuscito grazie naturalmente anche al contributo delle due attrici che sanno restituire con credibilità e senza sbavature due personaggi complessi nel loro doppio percorso di disvelamento finale che lascia traccia indelebile nell'animo dello spettatore.