Un lavoro dal forte impatto visivo, scenico ed emotivo, che non lascia indifferenti ma non convince del tutto: la messa in scena si muove magistralmente tra il sacro e il profano, con estrema libertà. E proprio la parola "libertà" è la parola chiave che spesso si ripete e che lo stesso Delbono invoca rabbiosamente nel corso dello spettacolo, quasi fosse un mantra. Vangelo è un collage di immagini potenti, affascinanti e di struggente bellezza, a tratti quasi crudeli e beffarde. È un viaggio intimo e glorioso nell'anima travagliata e nella mente di Delbono: mette in scena, dà vita alle sue ossessioni, alle sue paure, alle sue debolezze, per l'ennesima volta mette in scena se stesso. Per quasi due ore scorrono davanti ai nostri occhi immagini dell’inferno personale di Delbono, che in fondo è l’inferno che ognuno di noi – in misura diversa - porta dentro di sé, in contemporanea vengono proiettati su un muro posto come elemento scenico principale, alcuni frammenti video filmati direttamente dal regista: un ospedale ed il suo degrado, un centro di rifugiati afghani, un mare notturno che riflette la luna. Vangelo è uno spettacolo fortemente personale dalla vocazione universale.
In scena si alternano immagini forti e a tratti quasi violente, a immagini dotate di una poesia delicata, eterna, ma allo stesso tempo feroce e viva.
Delbono irrompe spesso in scena - presenza costante a tratti ingombrante, deus ex machina dello spettacolo - come voce off mentre legge i suoi testi, una poesia di Sant'Agostino o una di Pasolini, si muove tra palco e platea, dove spesso si siede per farsi spettatore della sua creazione, per poi intervenire e diventare nuovamente protagonista.
Emerge questo suo estremo e incontrollabile bisogno di raccontarsi, questo prepotente desiderio di spiegarsi, analizzarsi, ripercorrendo in maniera quasi ossessiva la sua vita e alcuni momenti cruciali di essa. La tematica del Vangelo è solo un pretesto per indagare il suo animo, il suo vissuto, per affrontare nuovamente il rapporto con la madre e quello che rappresentava per lui e quello che era a prescindere da lui. La madre è la grande presenza assente dello spettacolo: c’è n ogni gesto, in ogni parola, in ogni respiro, in ogni immagine della creazione del regista ma non è immediatamente visibile – è come Dio: c'è ma non si vede.
I personaggi che abitano l'universo di Delbono sono figure “bauschiane” dotate di un'eleganza pasoliniana, che le rende perfette nella loro umana imperfezione, dotate di un'intensa e inspiegabile bellezza, pure ed eterne. Delbono che sa toccare con sapienza e delicatezza le corde dell'animo umano, in questo lavoro non ci riesce totalmente e risulta meno in empatia con il pubblico del solito. L'impianto scenico e il disegno luci sono in perfetta sintonia e dialogano tra loro con efficacia, creano ed evocano immagini ed atmosfere suggestive e di elegante bellezza, si fanno portavoce del messaggio di Delbono: un messaggio d'amore e in un certo senso di speranza per se stesso, per l'umanità', per il mondo.
Al termine della messa in scena Delbono dichiara apertamente che dedica anche questo spettacolo alla madre (dopo “Orchidea”), un omaggio alla donna più importante della sua vita e alla richiesta che questa gli aveva fatto più volte prima di morire, a lui, ateo e buddista: “fai almeno uno spettacolo sul Vangelo?”. E così è stato, il regista ligure ha affrontato di petto questo testo sacro, entrando con forza in una zona d’ombra rivelatrice: se inizialmente i diavoli presenti sulla scena disorientano e spiazzano, dopo poco ci si rende conto che il significato intrinseco di queste immagini è da ricercare in una visione e in un approccio libero da vincoli morali, da dogmi culturali e da una formazione di retaggio cattolico che ci portiamo dentro quasi inconsciamente.
La creazione di Delbono è un suo classico lavoro, con i tratti caratteristici che lo distinguono e lo rendono riconoscibile: affascina ma non conquista totalmente perché si ha la sensazione di assistere a qualcosa di già visto, sicuramente ben fatto, sapientemente costruito ma non sempre incisivo.
Il rapporto di Delbono con il Vangelo e il suo categorico rifiuto degli aspetti oppressivi e coercitivi della religione risulta una riflessione alquanto facile, poco originale, sarà che da un artista controverso e controcorrente come Delbono ci si aspetta sempre molto.
L'essenza del suo lavoro è la ricerca di un "modo di fare" teatro attraverso la sperimentazione di vie estreme e non convenzionali: la sua schiettezza, il suo essere diretto, rischiando a volte di risultare sgradevole, la sua ricerca caratterizzata dalla capacità di creare e mescolare generi, situazioni e registri diversi, la sua spudoratezza e il suo estremo narcisismo, in questo spettacolo sono quasi "appannati", presenti ma non totalmente convincenti.