Il poemetto di Shakespeare “Venere e Adone” risale al 1593. Era la prima opera del poeta inglese ad essere stampata e divenne un caso letterario, come sarebbe definita oggi.
Peccato che si sia persa nella produzione del Bardo per lasciare spazio alle tragedie più famose e più accattivanti. Il teatro di Dioniso e il regista Valter Malosti si cimentano quindi con un testo inusuale, rischioso, ma il risultato non lascia per nulla delusi.
Sulla scena c’è una Venere anomala: non è più la dea eterea che coccola l’amore e ne è regina, piuttosto assomiglia di più ad una prostituta dell’Eros spinto, soggiogata dallo spirito dal sesso. Il suo innamoramento folle e disperato per Adone non è ricambiato, perché il giovane le sfugge e non si pega all’amore mitologico. Fino ad un epilogo grottesco.
Per di più Venere è interpretata da un uomo, come sarebbe avvenuto nel Globe Theatre di Londra. Malosti di moltiplica per fare l’attore, seguire la regia, curare il testo e le musiche della piece. Definirlo poliedrico è riduttivo.
Straordinaria la scelta musicale che si divide in tre filoni per accompagnare degnamente ogni personaggio e caratterizzarlo ulteriormente.
Il narratore ha un filo musicale britannico; Adone diviene una voce recitante col clavicembalo e le note portano la firma di Gyorgy Ligeti, Terry Riley e Louis Andriessen; per Venere si enfatizza la meccanicità grazie a suoni elettrici e sperimentali dei compositori contemporanei Luciano Berio Nino Rota, Luigi Nono, ma anche Karlheinz Stockhausen e i contemporanei Aphex Twin e Thom Willems.
Complimenti, quindi, alla ricerca musicale di Malosti.
Spettacolo interessante quanto inaspettato, appartiene alla categoria del “diverso che piace”. Conquista e stordisce, ammalia e seduce: sarebbe piaciuto anche a Shakespeare.
Milano, Teatro Litta 16 marzo
Visto il
al
Officina degli Anacoleti
di Vercelli
(VC)