Un uomo, una donna, una scrivania e un divano, un'immaginaria pelliccia, una stanza chiusa, un'indagine psicologica tagliente e impietosa dei lati più oscuri dell'animo umano che ognuno di noi tende a negare anche a se stesso: ecco gli ingredienti essenziali di una sexy dark comedy a tratti esilarante, a tratti toccante, sempre totalmente coinvolgente.
Valter Malosti interpreta un regista che porta il suo stesso nome e che non riesce a trovare, seppur dopo molti provini, una protagonista adeguata per il suo adattamento teatrale del romanzo Venere in pelliccia di Leopold von Sacher-Masoch. È sera, la stanchezza si fa sentire, Malosti sta per tornare a casa, quando irrompe sulla scena Vanda Jordan, una ragazza scombinata, dal forte accento romano, volgare nei modi e nel linguaggio che gli chiede di fare un provino. Da principio Malosti si nega, poi cede. Il provino rivela le inaspettate doti attoriali della ragazza, che finisce quasi per identificarsi con Wanda Von Dunayev la protagonista della piece, in un intricato gioco di ambiguità e scambi di ruolo che coinvolgono sempre di più anche il regista, oltre che lo spettatore, in un crescendo continuo di tensione fino a giungere all'enigmatico finale in cui non si comprende più chi sia preda, chi sia cacciatore, chi sia dominante e chi sia dominato.
Un romanzo, quello di Sacher-Masoch, dalle radici profondamente autobiografiche, che finì per segnare un'epoca, tanto da essere citato persino nell'incipit di La metamorfosi di Kafka. Le vicende di Severin von Kushemski e Wanda Von Dunayev sono state fonte di ispirazione per David Ives durante l'accidentata stesura di quest'opera teatrale in cui le figure dei due amanti ottocenteschi si fondono e confondono con le persone destinate ad interpretarli, così da evidenziare come il rapporto dominante-dominato valichi le barriere geografiche o generazionali.
Valter Malosti ci offre dell'opera di Ives un adattamento brillante, basato sulla traduzione di Masolino D'Amico, in cui la presenza o l'assenza di un sottofondo musicale, oltre all'utilizzo diverso delle luci, permette, almeno nella prima fase, di distinguere la recitazione dalla vita reale, il personaggio dall'attore. Al suo fianco la bellissima Sabrina Impacciatore passa con disinvoltura dal ruolo di femme fatale dell'alta borghesia ottocentesca a quello di ragazzotta uscita da qualche squallida periferia romana, dal ruolo di vittima a quello di carnefice, con una naturalezza e una bravura davvero uniche.