Venite ad assistere alle rappresentazioni del "teatro di parola" con l'idea più di ascoltare che di vedere (restrizione necessaria per comprendere meglio le parole che sentirete, e quindi le idee, che sono i reali personaggi di questo teatro). (...) Tutto il teatro esistente si può dividere in due tipi: (...) a) teatro della chiacchiera (accettando dunque la brillante definizione di Moravia), b) teatro del Gesto e dell'Urlo. (...) Da questa doppia opposizione deriva una delle caratteristiche fondamentali del "teatro di parola": ossia (come nel teatro ateniese) la mancanza quasi totale dell'azione scenica. La mancanza di azione scenica implica naturalmente la scomparsa quasi totale della messinscena - luci, scenografia, costumi ecc.: tutto sarà ridotto all'indispensabile (poiché, come vedremo, il nostro nuovo teatro non potrà non continuare ad essere una forma, sia pure mai sperimentata, di RITO. E quindi un accendersi o uno spegnersi di luci, a indicare l'inizio o la fine della rappresentazione, non potrà mai sussistere).Pier Paolo Pasolini Per un nuovo teatro in Nuovi Argomenti Gennaio-Marzo 1968 ora in P. P. Pasolini Teatro Garzanti, Milano 1988 pp. 716-717. Testo scritto in versi liberi, di getto, durante la convalescenza in seguito a un attacco di ulcera, Porcile è uno degli esempi di quel Teatro di Parola che Pasolini aveva teorizzato con precisione e cognizione di causa. Un teatro borghese, ma non per la borghesia di massa, bensì per i gruppi avanzati della borghesia1. Un teatro dove la rappresentazione scenica è ridotta all'osso e dove le parole non rappresentano l'azione ma idee. La storia raccontata è nota, anche per via della riduzione cinematografica che Pasolini fece del dramma nel 1969 (il film omonimo è infatti successivo alla stesura del testo teatrale Porcile che non è desunto dal film, come è scritto erroneamente in rete da più parti, tra i tanti, Eleonora Giovinazzo): il 25enne Julian Klotz, figlio di un ricchissimo industriale tedesco, incurante di aver deluso il padre (ho questo figlio che non è né ubbidiente, né disubbidiente) rifiuta la corte di Ida, più giovane di lui e di lui innamorata, che cerca di coinvolgerlo nella prima marcia pacifista dei giovani a Berlino. Julian è attanagliato da una passione segreta della quale non confessa nemmeno a Ida la sua natura. Julian non si vergogna del suo infimo amore perché lo fa sentire allegro, oltre che angosciato, e tenere quell'amore segreto lo fa sentire vivo. Non a caso Julian si sente compreso dagli unici che, pur avendo capito il suo segreto, non lo giudicano: i contadini che ogni giorno vede durante le sue passeggiate... Julian entra in una sorta di catalessi afasica, durante la quale il padre si allea con Herdhitze, il suo peggior concorrente industriale (Klotz padre voleva ricattare Herdhitze per il suo collaborazionismo coi tedeschi di crani ebrei e bolscevichi, ma Herdhitze ricatta Klotz a sua volta minacciando di rivelare a tutti la passione sessuale di Julian per i maiali). Ripresosi dall'afasia Julian prova ad accettare la corte di Ida, ma ormai è tardi, la ragazza si sposerà con qualcun altro... Incontra dunque Spinoza (che parla di se stesso come di un uomo che vuole spiegare Dio con la ragione...) e finisce sbranato dai suoi amati maiali. La notizia viene data dai contadini a Herdhitze che, accertatosi non siano rimaste tracce, mette tutto a tacere. Il testo è ricchissimo di invenzioni stilistiche, a cominciare dai versi liberi in cui è scritto, e la tranquillità con cui vengono presentati dei dialoghi non proprio convenzionali rende subito chiaro che il dramma che si sta portando in scena non è un racconto realistico o plausibile, ma una metafora, in bilico tra la beffa e la satira. Un racconto nel quale sono evidenti i temi squisitamente pasoliniani: l'amore per la classe contadina, lo sfruttamento del mondo da parte della borghesia capitalista, rappresentata da Klotz e la sua cultura umanistica, e da quella neo-capitalista, rappresentata dalla cultura scientifica di Herdhitze o, come precisa Herdhitze stesso, dalla cultura tecnica, alleati per proseguire nello sfruttamento del mondo, vera e propria carne da macello, senza per questo essere una borghesia priva di gusto o di autoironia. Julian è la vittima sacrificale di questo sistema, incapace di adeguarsi ai giovani che si fanno rivoluzionari per conformismo come Ida o integrarsi al sistema, due alternative borghesi come Pasolini ben sapeva (e come dirà durante il 68). Pasolini individua qui uno dei nodi centrali della società europea pre-contestazione: l'incapacità dei giovani di costituire peso politico, schiacciati da una massa di conformismo rivoluzionario oppure isolati da un narcisistico individualismo. E la zoofilia di Julian non è solamente una variante di quell'omosessualità vissuta da Pasolini col senso di colpa del più sincero e laico umanesimo cristiano che lo ha accompagnato (assieme al marxismo) per tutta la sua vita, ma simboleggia proprio l'irriducibilità del singolo alla società di massa, una purezza che dà fastidio e infatti lascia tutti contenti quando Julian viene mangiato dai maiali. Molti sono gli elementi che rendono questo testo attualissimo: la denuncia del potere, che non si arresta nemmeno di fronte alla morte dei propri figli, la cancellazione della storia (il collaborazionismo di Herdhitze) e della verità (la morte di Julian), a dimostrare la grandezza anche del teatro pasoliniano, tenuto solitamente di scarso conto, come fosse la produzione minore di un artista troppo poliedrico. Purtroppo nella riduzione (ma leggete distruzione) di Massimo Castri, di tutto questo rimane ben poco. Castri ignora il Teatro di Parola di cui Porcile è un esempio, e piega il testo alla sua discutibile e accademica lettura. Discutibile perché Julian, nelle mani di Castri, diventa un fanciullo che ride e sghignazza (sin da quel primo episodio che fa recitare strillando, col risultato che gli attori si mangiano una battuta su due) un 25enne in piena regressione all'infanzia e non si capisce proprio quale infanzia possa essere ricondotta alla zoofilia, cercata, amata e non subita. Il Julian pasoliniano è consapevole della propria perversione (in termini freudiani) tanto che Castri, per dare coerenza al suo Julian, taglia quasi completamente il lungo monologo nel quale Julian si mostra consapevolmente adulto:
Non stupirti, dunque, se accanto all'angoscia/ c'è una continua, infinita allegria./ (...) Mi alzo alla mattina. E cosa mi aspetta?/ Una giornata piena di questo mio amore./ Grande importanza, nella gioia che ne provo/, è che a conoscerlo sono soltanto io. E che quindi/ i suoi atti devono essere compiuti in segreto;/ ma questo segreto.../ questo segreto mi immerge nella vita./ Sì, perché senza la vita, esso non potrebbe aver luogo/, io non potrei avere rifugi, clandestinità,/ pretesti, silenzi e tutte queste cose.../ (...) Io devo entrare nella vita, per evitarla/ nei suoi aspetti più meschini, quelli sociali,/ quelli a cui sono legato prima per nascita.../ e poi per obbligo politico, conservazione o rivolta...Monologo nel quale, tra l'altro, i contadini (che nella versione di Castri emergono dal nulla a fine opera), ci vengono presentati uno per uno, coi loro nomi e le loro origini di immigrati... Accademica perché Castri veste troppo i personaggi (per tacer delle maschere da maiale...) schiacciandoli in una tipizzazione eccessiva dipingendo Klotz come un rimbambito, la madre come una svampita, Julian come un bambino strillante che tiene in mano palloncini, e Ida come sua degna compagna di giochi, attingendo visivamente dall'immaginario collettivo dei fumetti (americani) da cui emergono le caratterizzazioni dei due aiutanti-spie di Klotz e di Herdhitze, che Castri vuole in scena col classico impermeabile alla Dick Tracy ma che, anche per l'incongruenza storica tra gli anni 30 del modello statunitense e l'Europa degli anni 60 in cui Pasolini ambienta Porcile rimandano tutt'al più al nostrano Tenente Sheridan... L'ironica beffa con la quale Pasolini descrive la borghesia, consapevole, colta (per questo ambienta l'azione fuori dall'Italia) e dotata di autoironia (I tempi di Grosz e di Brecht non sono affatto passati./ E io avrei potuto benissimo essere disegnato da Grosz/ sotto forma di un grosso maiale, e tu di una grossa/ maiala: a tavola, naturalmente, io col culo/ di una segretaria sulle ginocchia, e tu con l'affare dell'autista in mano recita Klotz padre) viene interpretata con una recitazione urlata, eccessiva, con forzature comiche assenti nel testo originale.Uno stile recitativo da Accademia, con un'inflessione cantilenante dove la voce sale e scende, come in una partitura musicale, che soffoca i versi rimangono con una recitazione mai tranquilla (tranne rari casi nei quali, naturalmente, il testo, nudo, funziona). E alla fine non è solo il maggiordomo (personaggio assente nel testo di Pasolini) ad arrancare su e giù per la scenografia obliqua e da pop art di Maurizio Balò (in barba ai precisi dettami pasoliniani: La mancanza di azione scenica implica naturalmente la scomparsa quasi totale della messinscena - luci, scenografia, costumi ecc.: tutto sarà ridotto all'indispensabile) arrancano tutti i personaggi, troppo concentrati a cercare di credere alle versioni parodiche di se stessi per potersi preoccupare di far arrivare qualcosa allo spettatore. La sottile ironia che irride la borghesia scade così nella facile farsa che, facendo ridere con gli eccessi, non fa che confermare lo status quo della classe dominante. E il pubblico (borghese) dell'Argentina applaude. Ora, è chiaro che chiunque ha la libertà di stravolgere un testo secondo il proprio sentire e le proprie capacità di intenderlo, ma se le modifiche apportate si discostano così sensibilmente dalle intenzioni del suo autore, le modifiche devono essere sorrette da una solida costruzione ermeneutica, capace di illuminare il testo con spunti esegetici mai immaginati prima. Ma cosa dice in più o di diverso lo spettacolo di Castri rispetto al testo pasoliniano? Invece di sottolinearne la tragica attualità, la sorprendente modernità del testo pasoliniano, ne astrae gli elementi universali, ma fuori dal contesto storico non vi è storia e senza Storia, sicuramente, non c'è Pasolini. Per cui l'operazione di Castri finisce per essere, ben al di là delle sue stesse intenzioni, opera di mistificazione del testo pasoliniano. Terza regia (dopo Euripide e Cechov) di Castri per il Teatro di Roma (quella all'Argentina è una prima assoluta) su progetto del precedente direttore Albertazzi, ma esaltato anche dall'attuale direttore in carica Giovanna Marinelli, Porcile svuotato della potenza eversiva del testo originale è ridotto a esempio di quel teatro dell'Urlo tanto avverso da Pasolini. Sarebbe stato necessario, per rispetto del suo autore, un po' di coraggio (delle proprie idee) in più e firmare la messinscena per quello che è non (più) Porcile di Pasolini ma Porcile di Massimo Castri liberamente (assai liberamente) tratto da Pasolini. E che questo spettacolo sia stato prodotto con denaro pubblico (quello del ridimensionato FUS Fondo Unico per lo Spettacolo che il governo Berlusconi ha deciso di dimezzare nei prossimi tre anni) fa ancora più rabbia. Fossero stati impiegati capitali privati starebbero meglio i contribuenti, il pubblico, e il Teatro, soprattutto quello di Parola del quale, nella riduzione di Castri, non vi è traccia. 1) Una signora che frequenta i teatri cittadini, e non manca mai alle principali "prime" di Strehler, di Visconti o di Zeffirelli, è vivamente consigliata a non presentarsi alle rappresentazioni del nuovo teatro. O, se con la sua simbolica, patetica, pelliccia di visone, si presenterà, troverà all'ingresso un cartello su cui c'è scritto che le signore con la pelliccia di visone sono tenute a pagare il biglietto trenta volte più del suo costo normale (che sarà bassissimo). In tale cartello, al contrario, ci sarà scritto che i fascisti (purché inferiori ai venticinque anni) avranno l'ingresso gratuito. Pier Paolo Pasolini Manifesto per un nuovo teatro op. cit. pp. 714-715 Le citazioni in corsivo del dramma sono tratte da Porcile in P. P. Pasolini Teatro Mondadori, Milano 2001 Roma, teatro Argentina, 25 Novembre 21 Dicembre 2008
Visto il
al
Tordinona - Sala Pirandello
di Roma
(RM)