Un duo davvero vincente quello composto da Marco Paolini e Mario Brunello: attore sanguigno capace di rendere quasi fisicamente palpabili le realtà che va narrando il primo, violoncellista raffinatissimo attratto anche da altre forme culturali il secondo.
Lo spettacolo, lo promette il titolo stesso, è dedicato alla figura di Giuseppe Verdi, proprio nell’anno che ne vede celebrare il bicentenario della nascita, e tenta di spiegare la grandezza del maestro rileggendo dall’interno alcuni passaggi chiave di opere come Otello, Il trovatore, La traviata mettendo così in evidenza come musica e libretto in un autore di tale calibro viaggino costantemente di pari passo. Il Verdi proposto da Paolini è un personaggio volitivo, sicuro di sé, che entrò presto nell’immaginario collettivo degli Italiani per non uscirvi mai più, grazie alla sua capacità di interpretare fino in fondo l’anima più autentica di un popolo e divenirne così in breve tempo il vate. Ed ecco che il pubblico canta, entusiasta, lasciando perdere ogni remora iniziale, sotto la guida della bravissima Francesca Breschi e accompagnato musicalmente, oltre che dal violoncello di Brunello, dall’armonium e dal piano di Stefano Nanni, celebri arie verdiane quasi a dimostrare quanto il maestro di Busseto sia ancora parte di tutti noi e come, con la sua sapiente conoscenza delle dinamiche teatrali, abbia saputo toccare veramente l’anima ancestrale di un popolo che da sempre cerca chi possa dargli una voce.
Paolini è abile e veloce a muoversi sul palcoscenico e ne è padrone fin dal primo istante, coadiuvato in ciò da pochissimi oggetti di scena: una tavola su cui poter disegnare con l’ausilio di semplice polvere giallastra e una grande cassa dal cui interno filtra una intensa luce gialla che, posandosi sul volto dell’attore, aiuta a sottolineare i momenti drammatici. Lo spettacolo scorre via liscio con pochissimi tempi morti e si conclude con una lunga descrizione, basata sul racconto che ne fece all’epoca Filippo Tommaso Marinetti, dei funerali del maestro che rappresentano l’apice di quella presa di coscienza collettiva della necessità di essere tutti, anche fisicamente, vicini a colui che aveva segnato un’epoca contribuendo a dare identità ad una nazione.