Nel 1610 moriva a Pechino il gesuita maceratese padre Matteo Ricci, che per decenni era vissuto alla corte cinese legando Occidente e Oriente; a lui lo Sferisterio dedica il Festival 2010, intitolato “A maggior gloria di Dio”. Sempre nel 1610 Claudio Monteverdi componeva il Vespro della Beata Vergine, scelto da Pier Luigi Pizzi come apertura del cartellone.
Il Vespro segue di tre anni l'Orfeo, opera profondamente innovativa che cambiò la forma e il senso della rappresentazione musicale profana. Invero una rivoluzione di tale portata non si ha nella musica sacra monteverdiana, seppure di bellezza ineguagliabile. Il modo autenticamente barocco della composizione pone le voci su un piano diverso dagli strumenti che hanno, nel complesso, un ruolo più modesto. L'intreccio polifonico del Vespro comprende salmi corali basati su un trattamento libero di canti fermi alternato con momenti per voci soliste al modo delle antifone liturgiche, affidate al canto gregoriano. Lo scopo di Monteverdi era creare un linguaggio musicale che realizzasse, mediante un perfetto connubio di parola e musica e con l'ausilio dell'armonia, la verità dell'espressione, in questo caso “a maggior gloria di Dio” per il tramite della Vergine Maria.
Nella chiesa di San Paolo la disposizione delle masse impegnate è stata effettuata per rendere un effetto “avvolgente”, si direbbe con termine moderno “dolby surrounding” (in epoca barocca le cantorie sparse per la chiesa barocca sopra la navata servivano a questo). Quindi solisti e strumentisti sull'altare maggiore, due cori ai lati, uno al capo di ogni transetto (invero parete laterale della navata); sul pulpito un solista, prima canto gregoriano e poi voce bianca. Tutti vigilati da una preziosa tela sull'altare con la Madonna della Misericordia.
Marco Mencoboni ha diretto in modo ottimo i numerosi artisti coinvolti, tutti in severo abito d'epoca con effetto assai scenografico. Mencoboni ha offerto una lettura viscerale e sentimentale del Vespro, filologica dal punto di vista della vocalità e degli strumenti ma con una passionalità che ha rappresentato un valore aggiunto. A cominciare dalla gestualità teatrale e incantatrice.
I momenti più alti mi sono parsi il Pulchra es affidato ai due soprani, il Lauda Jerusalem adattato ai cori, la Sonata sopra Sancta Maria coi virtuosismi vocali esaltati dalle preziosità strumentali e il Nisi Dominus con la voce echeggiante dal fondo della chiesa, ma anche alcuni passaggi dell'inno affidati al controtenore ed alla voce bianca, la cui voce filiale angelica rende ancora più toccante la supplica. Il Magnificat, di grande e complessa struttura composita per successioni, poteva essere più veloce ed agile nei passaggi, non facilitati dai rimandi dell'acustica della chiesa.
Adeguati i complessi vocale e strumentale del Cantar Lontano e il complesso vocale La Stagione Armonica. In particolare i musicisti hanno dato tangibile prova nel concerto Sopra Sancta Maria.
Ottimi i solisti tutti. Da evidenziare l'affascinante voce del controtenore Andrea Arrivabene (impressionante il suo “Virgo singularis” nell'inno Ave maris stella); Mauro Borgioni ha scandito sontuosamente le antifone riservate al canto gregoriano; Roberta Mameli e Francesca Lombardi Mazzulli hanno dato una interpretazione emozionante del Pulchra es.
Auditorium tutto esaurito con molti appassionati rimasti senza biglietto: un successo meritato per una delle pagine più emozionanti della musica sacra, posta come apertura di gran classe (insieme alla conferenza di Massimo Cacciari qui recensita) per un Festival che si segnala per la qualità delle scelte.