Prosa
DIARIO PERPLESSO DI UN INCERTO

Vi racconterò per tutt'Odessa

Vi racconterò per tutt'Odessa

Per confermare il proprio ruolo di artista ebreo numero uno d’Italia, Moni Ovadia, da sempre impegnato nel far conoscere al pubblico italiano la singolare cultura yiddish, continua ad allargare i propri orizzonti.  Questa volta il suo sguardo-investigatore  si è rivolto al di là del litorale del Mar Nero, ancora più a est della sua nativa Bulgaria, posandosi esattamente sulla città di Odessa.
Vi ricordate la scalinata della mitica “Corrazzata Potemkin”? Ecco, proprio là Sergey Eisenstein, ebreo pure lui, ha girato la sua leggendaria pellicola. Una città portuale,  “perla sul mare…” canta una celebre canzone. Pushkin diceva anche che "in estate era una sabbiera e  in inverno un calamaio". E che dire del singolarissimo senso di umorismo degli odessiti: un variegato miscuglio di russi, ucraini ed ebrei:
- E’ vero che a Odessa rispondono sempre a una domanda con un’altra domanda?
- E chi glielo ha detto?!
E' una delle barzellette dell’infinito repertorio odessita.
Oggi caduta in oblio, all'inizio del secolo scorso era una città di scrittori e musicisti, ma anche di ladri e banditi: gentiluomini e gentildonne della malavita. Qualcuno cerca paragonarla a Napoli e afferma che “O sole mio” sia stata composta proprio sulla riva del Mar Nero. Può darsi, ma il paragone stesso non regge, ovvero regge solo parzialmente per la presenza degli elementi crinimali. Si dice che per comprendere davvero Odessa, per accettarla, bisogna essere un odessita, almeno nell’anima. Ed è necessario, soprattutto, per poterla raccontare.
Ovadia non è un odessita. Il suo è uno sguardo da esterno, pretenzioso, ma superficiale. Forse anche per questo non si è ben capito che cosa, in fin dei conti, abbia voluto raccontare: di Odessa come tale, della sua variegata comunità ebraica, della vita malavitosa, dei celebri personaggi che la città ha dato al mondo. Forse, semplicemente, ha voluto mettere insieme quel che aveva sotto mano per vedere che cosa ne viene fuori. Il risultato è una specie di Gefilte Fish infarcito con un po' di tutto: dalle Banditskie Pesni (canzoni del repertorio dei criminali locali) alle canzoni dello sconosciuto (in Italia) Leonid Utesov da Ovadia stesso (voce), ai gavot e valzer di Shostakovich interpretati dal trio Pavel Vernikov (violino) Svetlana Makarova (violino) e Pavel Kachnov (pianoforte); dai frammenti (lunghi) di Isaak Babel, ai pensieri a voce alta (non meno lunghi, nostalgici e dai toni moraleggianti) di Moni stesso. A parte gli intermezzi musicali, eseguiti con un’indubbia bravura dal trio, ascoltare tutto questo, per chi conosce Odessa, è poco interessante. Per tutti gli altri semplicemente noioso. (Ne sono la conferma i pochi applausi del pubblico). 
Una nota particolare merita l’interpretazione vocale di Ovadia. E’ difficile dire a chi si sia ispirato, ma una cosa è certa: da noi, a Odessa, non si è mai sentito cantare così (male).

Visto il 07-02-2013