Siamo soliti vedere cornici vuote, in varie forme e fatture, nelle vetrine di un corniciaio. A chi verrebbe mai in mente di riempire le pareti di casa di semplici perimetri, senza alcun disegno o ritratto all'interno? Difficile pensare di trovarle in una casa privata, in una villa poi. Nella fattispecie, di una casa che è, paradossalmente, essa stessa cornice di un'umanità che si muove stancamente, trascinandosi tra poltrone e divano, sbevazzando e cercando di dare un senso alle cose che fa. L'attenuante a queste discutibili attività potrebbe essere la circostanza che il tutto avviene nell'arco di tre feste di compleanno, nessuna mai davvero riuscita e con importanti strascichi in termini di aspettative disattese, disillusioni, inganni del cuore e della mente. E' una villa dolorosa, appunto, quella abitata da Masha, Irina e Olga assieme al fratello Andrej (non è un caso se i nomi sono gli stessi dei protagonisti delle "tre sorelle" di Cechov, di cui il testo di Rebekka Kricheldorf è una riscrittura contemporanea) che raccoglie in se' dolori, incertezze, inquietudini e sogni, così come gli incubi, delle tre donne che si affacciano alla vita con caratteri e propensioni diverse, per poi tornare al nido iniziale e piangere, e compiangersi anche un po', di quello che accade.
La ricerca dell'amore e della leggerezza, il perseguimento della compiutezza nella propria esistenza, tramite il lavoro e la realizzazione personale e sentimentale, l'ambizione di poter vivere di arte e l'assenza di coraggio nell'affrontare i rischi che questa scelta comporta. Sembrerebbe esserci un vuoto totale e incolmabile in questa residenza fatiscente, per comodità collocata in Germania (ma potrebbe essere altrove), in cui i quattro fratelli ciondolano in attesa di qualche guizzo che movimenti le loro vite e le ritempri. Eppure, il continuo discernere e discettare, anche per il solo gusto di sentire la propria voce, sulla vita, sul mondo, sulla società in decadenza e su tanti altri temi quotidianamente dibattuti fa si che le parole servano a qualcosa. 'Non esiste salvezza dalla paralisi' afferma con rassegnata convinzione Andrej, che di questa febbrile immobilità è rappresentante indiscusso.
Non c'è bisogno di molto altro per descrivere la forza di un testo che riesce a cogliere problemi e tematiche, ancora oggi, specifiche dell'uomo moderno, sempre insoddisfatto e alla ricerca continua di qualcosa che cambi o migliori la propria vita. Si avverte l'intenso lavoro di preparazione, anche fisica probabilmente, che lo spettacolo ha richiesto da un punto di vista psicologico ed emotivo e che è stato ben reso dalle tre attrici. Più difficile, forse, far trasparire quelle piccole variazioni che lo scorrere del tempo porta nella casa e nella vita, segnata da una profonda solitudine spirituale, che invece rimane immutata e affligge l'animo umano.