Prosa
VINCENT VAN GOGH – LE LETTERE A THEO

Vincent Van Gogh: lo struggente omaggio di Blas Roca Rey

Blas Roca Rey
Blas Roca Rey

C’è qualcosa di sacrale nello spettacolo Vincent Van Gogh – Le Lettere a Theo. E’ una sensazione forte, immediata, il tempo di accomodarsi in platea.

C’è qualcosa di sacrale nello spettacolo Vincent Van Gogh – Le Lettere a Theo. E’ una sensazione forte, immediata, il tempo di accomodarsi in platea. Una sedia al centro del palco, due leggii, un tavolo con sopra i flauti del Maestro Luciano Tristaino. Una scena all’apparenza scarna ma già raccolta in preghiera per quello che risulterà essere uno dei migliori omaggi che Blas Roca Rey potesse fare al genio di Van Gogh.

Il rapporto epistolare tra Vincent e il fratello Theo

Un lavoro minuzioso quello di Blas Roca Rey. Non si è accontentato di entrare nel genio e nella follia del pittore. Lo scambio epistolare è un mero pretesto perché sulla pelle Roca Rey ha voluto tatuarsi le infinite sfumature di una vita vissuta al margine del reale ma carica di immagini e di incubi ai quali ha dato forma percorrendo una strada drammaturgica insolita. Visioni raccontate dai flauti del Maestro Tristaino, risultano fondamentali per comprendere la sofferenza e l’insofferenza di Vincent, i suoi patimenti sicuramente troppo estenuanti per chi voleva vivere una realtà diversa, fatta unicamente di colori e suoni.

La scelta delle lettere è stata significativa e fa rivivere al pubblico la discesa negli inferi mentali di Vincent. Lettere sconnesse dagli stati d’animo del momento ma con temi ricorrenti, che torturano come una goccia cinese chi le scrive e sicuramente chi le riceve. Il dolore fisico per le condizioni indigenti, il dolore morale per non vedere la realizzazione nel suo lavoro e dover chiedere il continuo sostegno economico di Theo, il dolore spirituale nel non poter contenere la meraviglia che la natura offre agli occhi degli uomini, il dolore mentale nel non riuscire a comunicare con i propri simili. Roca Rey ha preso per mano ogni dolore impresso su quelle lettere e con delicatezza e rispetto lo ha mostrato al pubblico.

Vincent: la fragilità dell’uomo e l’immensità del pittore

Blas Roca Rey ha scelto per la regia di contrastare il minimalismo della scena con l’esplosione dei colori alle luci. Rosso, blu, bianco. Con un blu spesso in controluce a sottolineare quella malinconia di cui si nutrono gli artisti che purtroppo in Vincent sfocia in angoscia. Qualche proiezione delle opere di Van Gogh (il suo ritratto, i Girasoli, i Mangiatori di patate e la Notte stellata) lo illuminano di entusiasmo, rendendo ancora più intensi i momenti di disagio e di pazzia.

I flauti hanno l’arduo compito di disturbare lo spettatore e di meravigliarlo allo stesso tempo. In questo la scelta dei brani classici è pressoché perfetta. I silenzi di Vincent diventano attraverso le note il racconto delle sue visioni, le pause volutamente indugiano su un tempo diverso, dilatato, altro. Il finale è commovente e la prova d’attore è riuscita. C’è qualcosa di sacrale nello spettacolo Vincent Van Gogh – Le Lettere a Theo. Agli applausi si scopre il perché.

Visto il 13-02-2020
al Brancaccino di Roma (RM)