Prosa
VITA DI EDOARDO II D'INGHILTERRA

Un Edoardo poco brechtiano

Un Edoardo poco brechtiano
Vita di Edoardo II d'Inghilterra, è la riduzione del dramma di Marlowe del 1592, scritta da Brecht nel 1923, in collaborazione con Lion Feuchtwanger, e messa in scena l'anno seguente.
 
Le sorti avverse di Edoardo II, re d'Inghilterra dal 1308 al 1327, che lo videro regnare in un periodo politico delicatissimo che solamente suo padre Edoardo I era stato in grado di controllare sono trasfigurate nel dramma di Marlowe, nello scandalo dell'amore del Re per il plebeo Gaveston.

Brecht, poco interessato al pregiudizio omofobico, riduce il dramma di Marlowe al
tema della corruzione dei costumi e della politica della corte anglosassone con chiari riferimenti alla sua contemporaneità.

 
Scritto in una fase precedente al teatro epico e didattico già in questo suo lavoro giovanile si notano gli sviluppi futuri del suo teatro epico destinato a "narrare" più che a rappresentare una vicenda e provocare nello spettatore una reazione che lo induca a formulare un giudizio (Dizionario Bompiani delle opere e dei personaggi).
 
Andrea Baracco, che adatta il testo e firma la regia, interviene sensibilmente sul testo riducendo il numero dei personaggi (e dunque di chi va in scena) esaltando
l'aspetto efferato della storia senza fornire chiavi di lettura né del contesto  originario, né di quello del 1924, né di quello nostro contemporaneo.

Dispiace così che l'omoerotismo dei due protagonisti che tanto scalpore doveva ancora fare nella repubblica di Weimar, dove l'omosessualità maschile era un reato punito con il carcere, nell'allestimento di Baracco sia poco più di un pretesto per insinuare una mollezza dei costumi come se la liceità dell'amore omoerotico non sia oggi al centro del dibattito politico del nostro paese e quindi la si possa dare per scontata.

Una mollezza ribadita dalla regia anche nell'interpretazione di Gabriele Portoghese il cui Edoardo, anche dopo aver perso il senno (in una invenzione di Baracco non presente nei due originali) non smette di tradire una effeminatezza misurata ma evidente, tramite saltelli, movimenti delle mani dai polsi generosi, secondo il più trito dei cliché.
 
Una scivolata nel comico senza giustificazioni drammaturgiche fatta solo perché non ci si vuol far mancare nulla.
 
Gaveston è un po' Lear, Anna (anche lei senza senno nel finale) un po' Ofelia proprio come Marlowe è un po' Shakespeare...

Approssimazioni del post moderno.
 
Inutili e volgari (perché ovvi) i riferimenti al sesso che nello spettacolo compare esclusivamente come mezzo di coercizione e di potere: Edoardo e Gaveston per
vendicarsi del Gran Priore lo cingono mimando inequivocabili movimenti pelvici,
mentre Mortimer e la regina Anna si dilettano in una del tutto inutile esplorazione digitale delle parti intime di lei...
 
Una messinscena che preferisce abbellire il testo con invadenti e ripetitivi elementi scenografici (di una scena altrimenti spoglia) quali la terra, le corde e i colori usati sul corpo degli attori e dell'attrice, che soffocano il testo riducendolo a un mero espediente per una bella regia.
 
Una messinscena che arriva a tacere la vera morte di Edoardo (ma di questo anche
Brecht si fece censore) omettendo che il Re venne impalato con un ferro rovente (con un'evidente allusione alla sodomia) mentre Baracco lo fa morire mummificato dal cellophane assieme ad Anna e a Mortimer in una sterile e qualunquista equiparazione delle diverse vie che il potere ha preso nella storia suggerendo allo  spettatore una posizione senza dargli modo di prenderla per conto proprio.

Inconcludenti, infine, i riferimenti a Eduard II di Jarman (la posizione assunta sul trono da Gaveston ed Edoardo, identica a quella della locandina del film) e al  Pasolini di Che cosa sono le nuvole ? (che cita Shakespeare) che non sono funzionali alla messinscena o alla sua comprensione ma costituiscono un mero abbellimento intertestuale. 
Visto il 21-09-2015
al Vascello di Roma (RM)