"Guarda che non sono io": ormai speriamo lo abbiano capito anche le pietre, caro Francesco, che il tuo processo di de-iconizzazione è una pars costruens, piuttosto che una negazione, dopo essere stato avviato con intenzione e contemporaneamente con la consapevolezza di non deludere nessuno di quelli che cercano nella tua storia la propria, ed anzi, offrendo un Francesco De Gregori artista del presente e del futuro.
Nel tour Vivavoce (di cui troverete qui le date), il piacere delle oltre due ore di spettacolo si espande a diversi livelli, a partire anzitutto, ed ovviamente, da quello musicale: riscrivere ogni cosa e ripensarla per un tour non è cosa da poco, ma farlo con una tale attenzione e con un lavoro così attento su ogni ambientazione delle canzoni, con arrangiamenti indovinati ed elaborati, e perfino con una sorpresa di grande effetto, quella del doppio arrangiamento di Buonanotte fiorellino, dapprima in scaletta e poi nel finale, beh, è qualcosa in più.
Tutto questo, unito ad un disegno di luci e di abiti che danno il senso appunto del lavoro e della ricerca, impiantato su una base molto carica, diciamo pure piena di sprint, qualcosa che si avverte come autentico, e che non stride affatto con il ricordo che in questi giorni viene proposto ovunque, del sessantaquattresimo compleanno di De Gregori, anzi risuona in tranquilla armonia per chi ha fatto della sua esistenza nel presente una scelta che in questo spettacolo si rinnova anche grazie all’alta qualità dei musicisti che lo accompagnano e della loro precisa collocazione, a partire dai 3 fiati (Giorgio Tebaldi al trombone, Giancarlo Romani alla tromba e Stefano Ribeca al sax) cui si concede forse l’elemento più innovativo, fino al basso e contrabbasso di Guido Guglielminetti, le chitarre di Paolo Giovenchi e Lucio Bardi, il mondolino e pedal steelguitar di Alessandro Valle, il piano e hammond di Alessandro Arianti, la batteria di Stefano Parenti ed il violino ed i cori di Elena Cirillo.
Tutto questo garantisce uno spazio assai ampio che veleggia sicuro fra ritmi latini, blues, folk, rock martellante, rockabilly e cover di Elvis Presley e di Leonard Cohen, rimanendo dentro ad un repertorio che De Gregori gioca ad alternare riscrivendo le sue canzoni (una scaletta di ben 29 brani che percorre tutta la sua storia) ed offrendole ad un pubblico di oggi fatto di un range generazionale che come ci si aspetta, abbraccia i nostalgici degli anni ’70 ed i nuovi adepti, tutti però in alcuni momenti perfettamente sincronizzati al momento di accompagnare i refrain più attesi, ed a dimostrazione di tutto questo, in questa particolare occasione del concerto del Palapartenope, sia lecito osservare con un certo senso di happening, che non si era forse mai sentito uno stacco così perfetto come quello del coro del pubblico napoletano sulla melodia della Donna cannone.
Guardiamo bene dentro questo tour, perché spiega molto di ciò che non voleva essere ma anche di chi è, e se non è “quello che stai cercando, quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo, quello che ti perdona e ti capisce, che non ti lascia sola, e che non ti tradisce […], quello seduto accanto che ti prende la mano e che ti asciuga il pianto”, ebbene piace pensare che potrebbe egualmente continuare ad esserlo per molti, vissuto però in un mondo artistico meno ieratico e più esauriente e particolareggiato.