A dodici anni di distanza il regista polacco Kryzstof Warlikowsky, Leone d'Oro alla carriera per questa edizione 2021, ritorna con la Compagnia del Nowy Teatr di Varsavia al drammaturgo israeliano Hanoch Levin, con lo spettacolo We are leaving, tratto da After Suitcase Packers , di cui Warlikowsky ha curato anche l'adattamento.
"Siamo al mondo, non c'è più rimedio..."
Vengono in mente queste parole di Beckett, seguendo le vicende della piccola comunità che si muove sulla scena tra relazioni impenitenti, alcolismo più o meno dilagante, moralismo piccolo borghese confuso a slanci di disperata anarchia.
I protagonisti non sono anonimi abitanti di una società altrettanto anonima, hanno tutti un nome e cognome, sono figli di qualcuno o hanno a loro volta figli, appena nati magari o che tornano da oltre oceano, e soprattutto hanno una data di nascita e di morte, che campeggia di fronte agli spettatori, ogni volta che si celebra un funerale. Già, perché sono tutti, per motivi diversi, in partenza, We are leaving è infatti il titolo.
Dani vuole andare in Svizzera dall'unica donna che l'abbia mai amato; il gobbo vestito di rosso deve lasciare la casa del fratello, perché la nuora non lo sopporta più; la nonna di Zig viene depositata a più riprese in un sanatorio da cui fugge ripetutamente. Ma l'unica partenza che si avvera con incontrovertibile periodicità è naturalmente quella della morte, Comedy with Eight Funerals recita infatti il sottotitolo della spettacolo: l'infarto del padre di Zig nel bel mezzo della zuppa, come nota rammaricata sua moglie; Albert che se la spassa con le vedove mature, poi cade mortalmente in un bagno pubblico, quando prova a metter il suo sesso fuori ordinanza tra le gambe di una giovane donna...
Come su un set
Il testo di Levin tratteggia un microcosmo, nel quale si rispecchiano le ansie e i movimenti migratori che attraversano i grandi panorami internazionali: tutti preparano bagagli, ma nessuno vuole lasciare davvero la propria casa.
Nella raffinata messa in scena di Warlikowsky le azioni si muovono come su un set, che rimanda, con l'alluminio anodizzato delle port, qualche trofeo e foto ingiallite in misere vetrine, all'est Europa della fine anni '70. Uno spazio che si adatta, divenendo di volta in volta balera, sala per funerali, abitazione privata, cinema, luogo di prostituzione.
Lo spazio si adatta e si adattano anche le singole storie: la mamma che ha appena scodellato un bambino si lascia toccare eccitata dal tuttofare transgender del club; Nina si abbandona a un esangue ma spavaldo poeta/medico che ha appena conosciuto; Zig, una volta persa Nina, accetta quella che sembra una profferta omosessuale... Il microcosmo di Levin/Warlikowsky non trova pace, è una continua lotta tra tentativi di appropriarsi del proprio territorio di libertà e il pacifico imprigionamento in forme di sottomissione.
Solo la morte, come una linea musicale che si concretizza in una persistente quanto varia colonna sonora, attraversa tutta la vita e si fa trovare immancabilmente al suo posto.
"Siamo al mondo, non c'è più rimedio...", non aveva forse ragione Beckett?