Lirica
WERTHER

Jesi, teatro Pergolesi, “Wert…

Jesi, teatro Pergolesi, “Wert…
Jesi, teatro Pergolesi, “Werther” di Jules Massenet MALEDETTA PRIMAVERA “I dolori del giovane Werther” è a metà strada fra romanzo autobiografico e invenzione letteraria, forse più sbilanciato verso il primo, tanto che la famiglia di Charlotte Buff (Lotte nel romanzo) si risentì alquanto, vedendo divulgati, e con tale successo di pubblico, fatti dolorosi e strettamente privati appiccicati addosso a personaggi fin troppo riconoscibili. Da parte sua Goethe, smessi i panni di Werther, rispondeva a Johann Kestner (l'Albert del romanzo), rivendicando piena autonomia letteraria alla sua opera. Ma l'autore ambienta, in mezzo alla trama di vita vissuta, importanti contenuti politici (il disagio sociale, le umiliazioni da parte della Corte, l'insofferenza nei confronti della vecchia aristocrazia, un sentire comune a tutta la giovane borghesia in una fase cruciale del suo sviluppo storico, il 1772), esaltando l'onestà d'animo, l'etica fondata su lavoro e sacrificio, la giustizia legale, contro sfarzo, corruzione e prevaricazione. Da qui il successo letterario presso tutti i giovani insofferenti di fine secolo, che non avevano necessariamente un amore infelice da lamentare, ma che pativano di un male di vivere fine a se stesso, che solo successivamente verrà definito “esistenziale”. Però, mentre il successo del romanzo crescerà anche durante l'Ottocento, si perderanno i presupposti politici originari, emergendo in primo piano l'amore impossibile, la passione insoddisfatta, il dramma individuale tanto caro al sentire romantico. Ed è a questo dramma che si appiglia l'immaginazione di Massenet, che compone una partitura “antieroica”, con una nuova impronta spiccatamente lirica, senza alcuna dimensione spettacolare (cifra invece distintiva del teatro romantico). Due esempi: l'assenza del coro e il colpo di pistola mortale inferto a sipario chiuso. Donato Renzetti ben evidenzia i motivi ricorrenti nelle pagine musicali, sottolineandone i nuovi significati ad ogni ritorno, anche se emerge poco scolpita la sinfonia del quadro primo nel quarto atto. Renzetti conosce bene il mestiere (e la “sua” Orchestra) e predilige temi intimi a quelli più roboanti della passione, favorendo un suono fluente, in linea con la lettura registica di Paul-Emile Fourny, priva di inventiva e fedelissima al libretto, fin troppo. Non mi sono piaciute la presenza della culla nel terzo atto e, ancora qui, il “furto” delle pistole perpetrato dal protagonista nell'armadio di Albert e Charlotte prima dell'autorizzazione a prenderle in prestito. La scena di Charlie Mengel, essenziale e spoglia, ha gli elementi naturalistici che servono all'azione, la fontanella, il profilo della casa, il mobilio e, soprattutto gli alberi: verdi nel primo atto (è giugno), rossogialli nel secondo (è ottobre), spogli alla fine (è dicembre). I costumi semplici, coevi alla scrittura dell'opera, sono di Véronique Bellone, le luci imprecise di Fabrizio Gobbi. La dimensione ottimale del teatro di Jesi favorisce la “partecipazione intima dell'ascoltatore” che il celebre critico Eduard Hanslick rilevava, elogiando i toni quasi cameristici di quella partitura struggente. Antonio Gandia ha debuttato con successo pieno nel ruolo del titolo: ha voce adatta ed espressiva, capace di evidenziare l'evolversi dei sentimenti. Nell'aria iniziale ha da subito la giusta sfumatura (con lo stupore del ritrovare se stessi nella natura circostante), dimostrando ottima tenuta di fiati e uno squillo musicale e pieno, senza incertezze. Nel prosieguo il tenore ha rivelato la capacità di passare da momenti di passione, che richiedono proiezione della voce e squillo, a momenti di intimo lirismo, con mezze voci e pianissimi. Peccato che non ha concesso, nonostante le richieste del pubblico, il bis dell'aria “Pourquoi me réveiller, o souffle du printemps?”, bellissima. Accanto a lui Anna Bonitatibus, non favorita dalla regia, è apparsa corretta, dolce, malinconica, curando le sfumature della voce a partecipare il suo dramma interiore, particolarmente convincente nell'aria della lettera ad inizio del terz'atto. Vittorio Prato è un Alberto giovane come la parte richiede, vocalmente dotato e fisicamente di bell'aspetto, un po' troppo “rigido” nelle movenze. Rocìo Ignazio Giron è una Sophie fresca e capricciosa, con voce piena. Nei ruoli di contorno, meno convincenti, Armando Ariostini (Bailli), Patrizio Saudelli (Schmidt) e Bruno Pestarino (Johann). Con loro Alessandro Lazzarini e Cristina Ciarmatori (gli innamorati) e il coro di voci bianche della suola musicale Pergolesi diretto da Michele Quagliani. Una serata piacevole, con il pubblico partecipe, silenzioso ed attento, alla fine plaudente, coinvolto dalla bellezza della musica. Visto a Jesi (AN), teatro Pergolesi, il 7 novembre 2007 FRANCESCO RAPACCIONI
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