Roma, teatro Costanzi, “Werther” di Jules Massenet
VORREI BACIARTI, MA NON POSSO
All'insegna della tradizione questo Werther romano, ripresa dell'allestimento della fine degli anni Ottanta di Alberto Fassini, come omaggio al grande regista scomparso di recente. Le scene e i costumi sono di Pasquale Grossi: il primo atto è ambientato nel giardino di casa del Bailli, il secondo in una piazza del paese, il terzo nella casa di Charlotte e nella cameretta di Werther, architetture tedesche negli esterni e negli interni. Con quel buon gusto tipicamente italiano per i dettagli: le lanterne alla finestra, le vanghe appoggiate in giardino contro il muretto, i riflessi dell'acqua sulla fontana, i giochi di legno dei bambini, i rampicanti, il passaggio delle stagioni, la stufa di maiolica, l'albero di Natale.. Però mentre Fassini curava meticolosamente la recitazione, la distribuzione dei cantanti sulla scena, il gesto fin nei dettagli in adesione al libretto, qui la ripresa di Joseph Franconi Lee è più grossolana e superficiale, come la direzione orchestrale di Alain Lombard, che non riesce a fare emergere al meglio l'intimismo e lo scavo psicologico della partitura.
Alla recita a cui ho assistito il ruolo del protagonista era affidato a Park Sung Kyu, voce bella e potente ma poco capace di rendere l'evoluzione dei sentimenti nell'animo di Werther (la sua espressione sembra sia limitata a dire a Charlotte “Vorrei baciarti, ma non posso!”). Nella prima aria “Je ne sais si je veille ou si je reve encore!” il coreano sbaglia un acuto perchè perde un fiato e non chiude la note, lasciando appeso il verso;per il resto è comunque corretto, seppure dovrebbe curare di più l'espressività della voce.
Massenet sceglie per la parte femminile principale la vocalità più scura del mezzo, ma la Charlotte di Beatrice Uria Monzon è ha una voce molto ingolata ed è carente nel registro grave, mentre tende a essere poco udibile nei pianissimi; però nel terzo atto non si risparmia e giunge a buoni risultati nella famosa aria detta “delle lettere”.
Acerba ma non aspra, così come il ruolo richiede, la Sophie di Giselle Blanchard è perfetta, affascinante ma un po' in ombra Natale De Carolis (Albert, una parte con poca espressività, rispetto ai protagonisti), appropriato nel ruolo Stefano Rinaldi Miliani (Le Bailli), bene amalgamati Francesco Marcacci e Angelo Nardinocchi (Schmidt e Johann). Da sottolineare che i cantanti sono stati costantemente sostenuti da Lombard, ad esempio nel confronto tra Werther e Charlotte del primo quadro del terzo atto, nonostante un'orchestra piuttosto importante dal punto di vista del volume. Ma questo non basta all'amalgama tra buca e palco che è necessario in un'opera intima e profonda come Werther.
Il coro di voci bianche dell'Accademia di Santa Cecilia e del Teatro dell'Opera di Roma hanno dato un positivo apporto alla recita.
Il risultato è uno spettacolo piacevole, seppure passano poche emozioni, per la scarsa attenzione alla recitazione e per la direzione. O forse anche a causa del teatro incredibilmente, assurdamente vuoto.
Visto a Roma, teatro Costanzi, l'11 marzo 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
RECENSIONE PRIMO CAST
Condivido le note del direttore Francesco Rapaccioni. Nel recensire il primo cast aggiungo qualche annotazione sullo spettacolo.
Il ruolo di Werther era affidato a Giuseppe Filianoti. Il materiale vocale del tenore è sicuramente dei più adatti per affrontare quello che è sicuramente uno dei personaggi simbolo della letteratura romantica e tali premesse vengono confermate da una prestazione vocale davvero notevole. La sua aria iniziale “O nature, pleine de grâce” è cantata in maniera eccellente, con le giuste sfumature, un’ottima tenuta di fiati e uno squillo musicale e generoso. Altri momenti da incorniciare sono l’appassionata e dolcissima dichiarazione d’amore per Charlotte (“Mon âme a reconnu votre âme”) e la disperata e dolorosa aria “Un autre est son époux” che prelude ad un finale di secondo atto davvero intensissimo (“Voilà ce qu’on nomme mourir”). Nel complesso quello che colpisce è la capacità di passare da momenti di slancio passionale e drammatico, che richiedono voce ben proiettata e squillo, ad altri di assoluto intimismo, in cui Filianoti ci regala con generosità mezze voci e pianissimo cantate a fior di labbra. Il fatto che in un paio di occasioni, credo anche per bucare un’orchestra diretta con volumi a volte eccessivi, l’acuto risulti leggermente ingolato, è cosa del tutto trascurabile, se vista alla luce di una prova nel complesso davvero convincente.
Meno interessante la prova del mezzo-soprano Beatrice Uria-Monzon. La partitura di Charlotte è sicuramente cantata correttamente e con generosità vocale, ma quello che a volte manca è una maggiore dolcezza nei suoni e quelle sfumature, specie nel registro grave, indispensabili a farci partecipi del dramma interiore del personaggio. La preghiera a Dio (“Seigneur Dieu!Seigneur!”) della scena III del terzo atto, ad esempio, ci viene restituita sì con trasporto, ma con pochissima morbidezza e pochi colori, laddove un’invocazione così intima e struggente al Signore lo richiederebbe.
La parte di Albert era affidata ad un solido e corretto Natale De Carolis, che si disimpegna egregiamente in una partitura che non offre comunque particolari momenti di introspezione. Ottima la sua presenza scenica. La Sophie di Yvette Bonner e il Borgomastro di Mario Luperi sono resi correttamente e si inquadrano all’interno di uno spettacolo che, musicalmente e vocalmente, non ha registrato particolari note negative, ma che alla fine ha poco emozionato il (poco) pubblico presente.
Il Werther è sicuramente un'opera, complessa che si gioca interamente sul dramma tutto interiore che i protagonisti principali vivono. Restituire al pubblico una dimensione così intima dello stato emotivo di un personaggio, la scelta consapevole del suicidio di Werther, la sofferenza nel rispettare la promessa fatta alla madre morente da parte di Charlotte, è cosa che va al di là di questioni di tecnica vocale o teatrale. Può scaturire solo da un’alchimia che si crea tra buca e palco, di cui il primo artefice deve essere il maestro concertatore. Al di là della prova non entusiasmante da parte dell’Orchestra del Teatro dell’Opera (poco omogeneo il suono, negative in particolare la sezione delle percussioni e dei fiati), la direzione di Lombard è sembrata davvero troppo poco partecipe emotivamente, mancante di un qualche slancio e priva di quelle morbidezze e ricchezza di sfumature e colori di cui la partitura è disseminata e che consentono l’introspezione e lo scavo psicologico dei personaggi.
Anche la regia, che ha sicuramente il pregio di essere fedele al libretto, non aiuta una lettura moderna del dramma. Le interazioni tra i personaggi sono marginali e a tratti è parso di assistere ad una recita anni ’50, con i protagonisti che, giunto il loro turno, si staccano dalla massa e fatti due passi avanti vengono al proscenio per intonare la loro aria.
Il Teatro denotava in maniera desolante molti posti vuoti sia in platea che nei palchi. Il pubblico, con poche eccezioni, ha seguito senza troppa partecipazione e ha riservato il calore del proprio consenso soprattutto a Filianoti.
Visto a Roma, teatro Costanzi, il 13 marzo 2007
GIUSEPPE SAPIO
Visto il
al
Costanzi - Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)