Chissà cosa avrà spinto Massimiliano Farau a scegleire Whale Music di Anthony Minghella, il primo vero e proprio successo teatrale, nel lontano 1985, del regista-sceneggiatore inglese, scomparso nel febbraio di quest'anno.
Uno spettacolo dalla struttura narrativa a brevi, a volte brevissimi quadri, più affine al racconto cinematografico che a quello teatrale. Eppure, Minghella non si sarebbe dedicato al cinema ancora per diversi anni.
La storia raccontata è quella di Caroline, una giovane ragazza tornata nell'isola di Wight, dov'è nata e ha trascorso l'infanzia, per portare a termine una gravidanza fuori dal matrimonio, e senza avere al suo fianco il padre (ci sono due possibili candidati...). Nell'isola fa amicizia con Stella, la giovane donna che le ha affittato una stanza, e frequenta anche Fran, la compagna dei tempi di scuola, sposata e madre di un bambino piccolo, alle prese con un marito propenso all'adulterio. Quando si avvicina il parto (superato il rischio di un aborto spontaneo), in occasione del sui compleanno, Caroline viene raggiunta da Kate, sua professoressa dei tempi del liceo, lesbica, che arriva sull'isola con D, una delle sue studentesse con la quale ha intrapreso, riluttante, un flirt. Dopo il parto, prematuro, Caroline dà il figlio in affidamento e torna a casa dei genitori...
Una storia già sentita tante volte, anche per una pièce scritta nel 1985. In quanto all'isola di Wight dove si svolgono i fatti, dovrebbe echeggiare le rivoluzioni dei concerti rock che vi presero luogo alla fine degli anni 60 (il più noto è quello del 1970 seguito da 600.000 persone e documentato dal film di Murray Lerner Message to Love), famoso per aver ospitato non solo l'ultima esibizione pubblica di Jimi Hendrix prima della sua morte, ma anche l'ultima apparizione dei Doors con Jim Morrison in Europa) ma nella pièce non ne rimane traccia alcuna.
Certo Whale Music (il titolo deriva dalla musica delle balene che Fran consiglia a Caroline di ascoltare per rilassarsi) si interroga sullo sconvolgimento che una gravidanza indesiderata e fuori dal matrimonio costituisce per una donna. Ma non solo le risposte che il testo fornisce appartengono più all'immaginario collettivo maschile che alla complessità del vissuto materno delle donne di quegli anni (e meno che mai a quello che il pensiero politico e femminista aveva prodotto nel decennio precedente) persino le domande di Whale Music sono mal poste.
La gravidanza, inaspettata o meno, viene presentata da un lato come una interruzione nella vita della madre che, dato il suo stato interessante, non puoi più far nulla, in barba alle donne del mondo reale che continuano a lavorare anche incinte, dall'altro sembra invece riempire una vita altrimenti vuota e fatta di attese da un uomo all'altro (come nel caso di Stella che vive del sussidio di disoccupazione). Se Minghella voleva compilare un pamphlet con le varie posizioni femminili possibili sull'argomento fallisce due volte. Una prima come drammaturgo perché i suoi, più che personaggi, si limitano ad essere dei cliché, delle macchiette caricaturali: Fran è quello della donna tradizionale che dice che l'uomo è geneticamente (sic!) incapace di accudire i figli, probabilmente più per giustificare la condotta di suo marito, tant'è che si lascia convincere subito dai modi disinvolti e cinici di Stella a dargli un momentaneo benservito; Stella giustifica la proria condotta sessualmente promiscua (scopriamo che è stata a letto anche col marito di Fran, prima che le due si conoscessero...) come una personale vendetta per l'insensibilità con cui gli uomini fanno sesso con le donne (non si esce dal luogo comune e dal già sentito). Una seconda sconfitta dal versante politico perché le critiche al mondo maschile sono quelle classiche della commedia, gli uomini insensibili, che tradiscono, hanno lo stress da prestazione sessuale, vengono sostituiti con altre donne nel lesbismo... Senza affrontare minimamente le problematiche che le donne, femministe o meno, stavano affrontando nei primi anno 80. Il testo tradisce poi l'idea del suo autore che vuole che l'emancipazione (o il conformismo) femminili non nascano da una convinzione politica ma sempre e solo dalle vicissitudini personali. Si è già detto delle rivendicazioni tradizionaliste di Fran, durante lo spettacolo scopriamo che anche il cinismo di Stella ha una origine biografica: restò incinta a 17 anni, e venne trattata male dalle altre donne-madri sposate che continuavano a chiamarla signorina per ribadire il suo stato di ragazza madre, anche se le andò peggio che Caroline perché lei il bambino lo perse...
Caroline stessa è un personaggio ambiguo che, sottrattasi alla vita familiare andando a vivere con Kate (lo scopriamo nel corso della commedia) lusingata dall'amore che la sua ex insegnate ha per lei, amore che non sa o non vuol ricambiare, dopo aver rinunciato a suo figlio, se ne torna all'ovile, accettando di tornare a casa con mamma e papà.
Un'ambiguità che sta più nella mente di Minghella che in quella di Caroline: per spiegare a Karen di non essere lesbica Caroline indica il proprio pancione come se l'aver fatto l'amore con un uomo significhi automaticamente non poter provare attrazione fisica per una donna, quando ben altre commedie (e film) ci hanno parlato di donne che si barcamenavano tra sesso con gli uomini e amore con le donne... (amore, non sesso, ma per Minghella evidentemente questa distinzione è irrilevante...).
Totalmente non plausibile poi l'incontro casuale di Caroline con la madre affidataria di suo figlio incontro del quale non si capisce la necessità narrativa, se non quella di umiliare Caroline evidenziandone l'immaturità: sbarazzatasi del bambino torna a casa coi genitori in barba a tutto il processo di autodeterminazione che le donne conducevano e hanno condotto. Per Minghella, evidentemente, se Caroline si è fatta mettere incita la sprovveduta è solo lei non certo il padre che, si sa, era lì per caso...
Insomma un vero disastro nemmeno giustificato dall'urgenza di raccontare una storia perché era già vecchia quando la commedia venne scritta figuriamoci oggi, a distanza di vent'anni e più.
Eppure a Massimilaino Farau il testo deve essere piaciuto se ha scelto di metterlo in scena. Un testo zoppicante, a causa di una poco disinvolta scansione narrativa che spezzetta l'azione in tante piccole scene, ognuna implicante un cambio di luogo, costringendo lo spettatore ad assistere a tanti stacchi, durante i quali le attrici muovono e sostituiscono le scene, allestite con un gusto veristico più vicino al cinema che al teatro dove una panca può evocare un mobile in stile Luigi XIV, mentre in scena si sono ricostruiti i set dell'ospedale, di un bar, dell'interno della casa di Stella...
Una regia legnosa, poco fluida, a tratti impacciata, che non aiuta le attrici a non cadere nella trappola di recitare i propri personaggi indulgendo sui cliché di cui sono imbastiti. Su tutte due interpreti primeggiano nella loro capacità a non lasciarsi sedurre dalla facile scappatoia del cliché: Antonella Civale che interpreta Kate con intelligenza e sensibilità (il cui personaggio è l'incarnazione del cliché della lesbica anni 80) e Sonia Barbadoro nel breve, piccolo ruolo della madre di Caroline. Va dato merito anche a Silvia D'amico, relegata da un testo ingeneroso a tre ruoli piccoli piccoli che interpreta egregiamente: quello della cassiera del bar dove si rivedono Caroline e Fran dopo tanto tempo e quelli di un'infermiera e della caposala (si avvicendano in scena vestite allo stesso modo, ma lo spettatore vede due donne diverse, grazie alla bravura dell'attrice, al suo linguaggio corporeo).
Alla fine, dopo due ore di spettacolo (che, senza i continui cambi di scena, poteva accorciarsi sensibilmente), mentre il pubblico applaude le interpreti (più per sentimento familiar-amicale verso le attrici che per amore del teatro) sorge spontanea la domanda: cui prodest?.
Non certo al teatro, forse agli spettatori, abituati alle semplificazioni grossolane di tanta fiction tv cui Whale Music (non per colpa del regista ma del suo autore) si rispecchia, sicuramente non alle donne che, per fortuna nostra e loro, sono molto ma molto più avanti di quanto questo uomo piccolo che risponde al nome di Anthony Minghella ha avuto la presunzione di descrivere.
Roma, teatro dell'Orologio Sala Orfeo dal 19 novembre al 2 dicembre 2008
Visto il
al
Dell'Orologio - Sala Orfeo
di Roma
(RM)