Il testo è quello celeberrimo di Clare Boothe Luce, giovane giornalista e commediografa di successo, convertitasi successivamente al cattolicesimo e all'impegno politico (fu tra le menti del piano Marshall...). La commedia scritta nel 1936 fece scalpore perché, pur parlando di donne sposate, tradite (e divorziate) dai loro mariti, non faceva mai apparire gli uomini in scena, presentando esclusivamente i personaggi femminili. Portata nuovamente al successo nel 1939 dal film omonimo di George Cukor (che vanta ben due remake), sceneggiato da Anita Loose The Women "Le donne" (dove, in inglese, quell'articolo determinativo ha un valore molto più forte che in italiano e suona come un quelle donne, cioè proprio loro e non altre) è una commedia brillante che racconta la storia di Mary Haines la quale, passa le giornate al salone di bellezza o alle sfilate di moda con le sue amiche dell'alta società americana, tra un acquisto e una partita di Bridge.
Quando Mary, il cui matrimonio felice è invidiato da tutte, scopre che il marito ha una relazione con la commessa Crystal Allen, Mary diventa il pettegolezzo preferito del cerchio di "amiche". Costretta al divorzio che aveva usato come minaccia sicura di non sentirselo concedere, Mary apparentemente fragile e delicata, si ritirai a vita privata. Due anni dopo quando scopre che la nuova moglie dell'ex-marito lo tradisce con un altro, ritorna in società e complotta per smascherare la rivale e riprendersi l'ex vendicandosi di Crystal ma anche della perfida "amica" Sylvia Fowler...
Quello che, all'epoca della sua uscita, sorprese di The Women non fu tanto l'inventiva di Clare Boothe Luce nel descrivere certa psicologia femminile (creando dei tipi che sono diventati dei veri e propri cliché universali entrati direttamente nel nostro immaginario collettivo: le donne sono nemiche tra di loro, vivono di pettegolezzi, fanno figli con la stessa leggerezza con cui cambiano vestiti o scarpe, spendono enormi quantità di danaro in vestiario e accessori frivoli, usano l'arma del matrimonio come viatico per un'autonomia economica e, ciniche, bandiscono l'amore che è pura convenzione sociale) quanto per lo spaccato femminile di una società nella quale per le donne non era previsto un ruolo sociale se non quello di sposarsi e fare bambini, raccontato con la leggerezza della Sophisticated Comedy ma non per questo meno efficace nel denunciare una società sessista e maschilista come quella americana. Infatti questi tipi femminili erano stati costruiti per dimostrare ai signori uomini che lungi dall'essere quelle creature pure e ingenue da loro facilmente manipolabili erano invece esseri senzienti, scaltri e furbi al punto da rasentare il cinismo, evidenziando un vecchio modo di vedere la gestione familiare del potere nei rapporti uomo donna dove in un mondo a esclusivo dominio maschile la donna aveva saputo trovare sotterraneamente ampi margini di manovra. Un discorso pre femminismo che rispetto le posizioni precedenti ella donna angelicata e priva di parola, era comunque una prima forma di emancipazione. Infatti nei confronti delle contemporanee società europee quella americana doveva sembrare un'utopica isola felice. Le donne lì almeno potevano divorziare esattamente come gli uomini e questa forma di autodeterminazione è proprio il meccanismo portante della commedia (e del film). Mary diventa amica con altre donne andate a reno come lei per divorziare e le strategie che mette in atto anche se servono a riprendersi il marito dimostrano il suo essere un personaggio attivo, autodeterminato, artefice del proprio destino, e non condotto da un costrittivo e succube amore muliebre.
La messa in scena di Carlotta Corradi si rifà molto più all'eco cinematografica del film di Cukor che alla commedia di Broadway. Donne ha un prologo, dei veri titoli di testa (con i nomi proiettati sul fondale mentre i personaggi appaiono "in posa") una scenografia, essenziale ma molto efficace, che si sviluppa sui bianchi e sui neri come quelli del film di allora, con dei costumi indovinati (di Laura Di Stefano), segmentata in diverse scene introdotte da un sovratitolo, anch'esso proiettato, che scandisce tempi, luoghi e date (un'ora dopo, due mesi dopo, etc...), mentre le scene sono introdotte ogni volta da un tema musicale originale (di Radiosa Romani) come stessimo davvero assistendo a un film, e mette in campo 13 attrici, tutte meravigliosamente in parte (tranne una... che non ha né movenze né dizione di una donna del jet set americano degli anni 30...) per un testo che sembra non aver perso affatto glamour e causticità.
Alla fine dello spettacolo però, quando le attrici si prendono i meritati applausi, si viene assaliti da un dubbio sul senso dell'operazione. La regia infatti organizzata proprio per oscurare la natura teatrale del testo e presentarlo al pubblico come un racconto cinematografico (i continui salti temporali, i cambi di scena che avvengono al buio, a sipario aperto)
riesce in pieno nel far negare allo spettacolo con la sua stessa presenza (che rimane teatrale) ogni forma di teatralità (spazio più simbolico e meno immediatamente realistico di quello filmico) preferendo una messa in scena cinematografica che non aggiunge nulla allo spessore del discorso che il testo va a fare. Se infatti negli anni in cui uscirono film e commedia il testo aveva una valenza politica, mostrando, come si è detto, l'orizzonte sociale entro il quale le donne potevano muoversi, riproporlo oggi con questo vezzo del cinema elegante (intento pienamente riuscito ma frivolo), senza alcun sottotesto esplicativo o critico, senza proporre il benché minimo confronto tra l'epoca in cui si svolge la storia e quella in cui in cui lo spettacolo viene proposto, rischia di presentare i cliché della commedia come irrinunciabili archetipi femminili e non come banali luoghi comuni (anche se molto sofisticati) quali in realtà sono oggi diventati.
Per cui, lasciando il teatro con un senso di nostalgia per vicende e
intrecci d'altri tempi, una nostalgia sapientemente indotta da una messa in scena efficace, si è colti da un senso di vertigine per lo scarto tra lo sforzo applicato nell'allestimento
e lo spettacolo così ottenuto che, svuotato di ogni significato politico e sociale, si presenta come un immenso pettegolezzo che spreca la bravura delle attrici che avrebbero meritato una ...urgenza narrativa meno frivola e inconsistente.
Visto il
al
Belli
di Roma
(RM)