Roma, teatro Costanzi, “Wozzeck” di Alban Berg
WOZZECK NELLA SCATOLA GRIGIA
Scritto in un lungo tempo e profondamente meditato, Wozzeck è un baluardo dell'espressionismo tedesco, dove il compositore utilizza un testo non contemporaneo, ma che sentiva come profondamente attuale. Ed a ragione, perchè Georg Büchner, ignorato ai suoi tempi, dopo essere stato considerato nel tardo Ottocento un maestro del naturalismo, era stato poi rilanciato come ispiratore del teatro espressionista, anche per le sue idee pre-marxiste.
Berg costruisce una partitura fortemente simmetrica, tre atti formati ciascuno da cinque quadri legati fra loro da intermezzi sinfonici. L'azione procede come ineludibile fatalmente, vissuta come allucinazione, mentre gli intermezzi offrono la meditazione dell'appena vissuto e il presagio di quello che avverrà.
Il nuovo allestimento dell'Opera di Roma è chiuso da una serranda grigia (mi ha ricordato un altro allestimento romano, l'Elektra di Strauss della fine degli anni Novanta); aprendosi rivela l'interno di una “scatola” grigia dalle pareti sghembe e dal pavimento in forte pendenza, a terra si intersecano linee e numeri senza una logica apparente. Un apparato efficace, sia dal punto di vista vocale (perchè le pareti fanno da cassa armonica per la proiezione delle voci), sia dal punto di vista scenico (un mondo claustrofobicamente chiuso, senza vie di uscita, i cantanti per entrare ed uscire si servono di botole nel pavimento). Tutto è grigio, pareti, abiti, luci. Senza variazioni. Se non per un raggio che percorre la scena e che a tratti si illumina di rosso, presagio del terzo atto, quando, nel momento in cui Wozzeck ammazza Marie, tutto si colora di rosso. Il resto è assenza, nessun attrezzo di scena, solo un lumino che Marie reca in mano e che Wozzeck spegne in un soffio, come la vita di Marie. Ai costumi spetta il compito di situare la scena negli anni Venti. Ma si sente una mancanza. E poche emozioni arrivano allo spettatore.
La stessa regia (Giancarlo del Monaco, anche scenografo e costumista) limita i cantanti a pochi, accennati movimenti e gesti e questo è il limite della rappresentazione, perchè non trasmette le emozioni della partitura e la potenza del testo e lascia tutto in un indistinto grigiore. Gli interventi registici, pur discostandosi dal libretto, non danno una precisa caratterialità allo spettacolo: all'inizio Wozzeck lustra le scarpe al Capitano, anziché radergli la barba; poi il crudo realismo delle scene di sesso, Marie e del Tamburmaggiore scopano davanti agli occhi del figlio nel primo atto e anche nel secondo, invece che ballare (“immer zu, immer zu” -sempre più, sempre più- ha ben altro significato); i garzoni della taverna sono uno cieco e uno zoppo; il Tamburmaggiore che piscia con spregio sopra Wozzeck. Scelte magari azzeccate e interessanti, ma che si perdono nel “grigio”.
Sulla stessa linea la direzione orchestrale di Gianluigi Gelmetti, che non esalta le qualità timbriche atonali della partitura musicale e, come se la sua bacchetta fosse di cartavetro, smussa l'aspro espressionismo di Berg, preferendogli toni più distesi, più morbidi, più sentimentali. Che funzionano nei momenti lirici, ma non in quelli corali, ambientate nella taverna o nella caserma.
Nel cast si è segnalata solo la strepitosa Marie di Janice Baird, con voce adeguata sia nei momenti drammatici che nei momenti lirici. Il Wozzeck di Jean-Philippe Lafont ha una buona impostazione ma non convince il suo personaggio “aged”, stanco, come sfibrato dalle tribolazioni. Sbiaditi gli altri, Richard Decker (Tamburmaggiore), Alexander Kaimbacher (Andres), Pierre Lefebvre (Capitano) e Francesco Facini (Dottore).
Tutti i personaggi risultano poco definiti, contribuendo a creare uno spettacolo che ha poco della forza di Berg, lontanissimo dall'agghiacciante e controversa edizione di Calixto Bieito.
Pubblico poco numeroso ma in compenso rumoroso: la presenza di un folto gruppo di studenti in platea poteva essere visto come un segnale positivo, invece hanno spesso disturbato.
Visto a Roma, teatro Costanzi, il 21 ottobre 2007
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)