Che soddisfazione, consegnare il biglietto alla maschera, entrare in sala e prendere possesso di una comoda poltrona! Siamo al Filarmonico di Verona, per assistere a Zanetto di Mascagni, interrompendo così un digiuno di spettacoli dal vivo che perdurava dall'ottobre scorso. Sette mesi senza mai mettere piede in un teatro! Mai successo in decenni di operosità al servizio della musica...
Ricominciamo da un teatro in miniatura
Come ha dichiarato il regista Alessio Pizzech, la scelta su questo titolo poco frequente di Mascagni, composto nel 1896 quando dirigeva il Liceo Musicale di Pesaro, rispondeva al desiderio della Fondazione Arena di mettere in piedi un'opera in breve tempo, aggirando gli ostacoli che possono sorgere in questo disgraziato periodo di pandemia.
In effetti, Zanetto è un tipico esempio di teatro in miniatura: richiede all'inizio un breve coro a cappella dietro le quinte, e due soli personaggi in scena: la bella ed annoiata cortigiana Silvia ed il giovane e vagabondo cantastorie Zanetto. Il libretto - un piccolo soggetto d'intima temperie, giocato su sottili risvolti psicologici - è tratto dalla commedia di François Coppée portata al successo da Sarah Bernhardt; nelle mani del Livornese, ne scaturisce un sintetico lavoro adornato d'una musica dalle delicate volute liberty, nel quale una liricità soffusa e trattenuta viene sostenuta da un'orchestrazione alquanto raffinata.
Un florilegio liberty
Scansando le consuete visioni neorinascimentali fiorentine, Pizzech cala la sua regia in pieno clima liberty, languido e decadente, sottolineato dalla scena unica di Michele Olcese, al centro della quale troneggia un lettone candido di lenzuola, e dai costumi di Silvia Bonetti. Nella sua visione drammaturgica, tutto è vissuto come fosse una fantasticheria erotica, però solo immaginata: Silvia fantastica d'avere con Zanetto, la cui serenata scorre sotto le sue finestre, un rapporto incontaminato, non mercenario; ed il giovane menestrello sogna a sua volta un amplesso con la cortigiana, conquista forse inarrivabile per un'adolescente. E grazie a questa insolita visione accade una cosa strana: cioè che la musica, carezzevole e rifinita, acquista una dimensione nuova, profumando più di finesse francese che di nostrana, sapida italianità.
C'è da dire che nel risultato che sentiamo qui al Filarmonico, assai conta la calibratissima concertazione di Valerio Galli, che scova nascosti fremiti musicali e inattese nuances nella accurata, floreale partitura del Livornese; ed un decisivo contributo lo danno le due notevoli voci chiamate a convegno amoroso, la Silvia di Donata D'Annunzio Lombardi e il Zanetto del mezzosoprano turco Asude Karayavuz.
Concertare con la mente, ma pure con il cuore
Che poi il direttore viareggino sappia concertare con duttilità, con grande carattere, con sicura maestria, lo si capiva già dalle brevi pagine orchestrali poste nella prima parte dell'evento domenicale, all'insegna di una piccola “Antologia Verista” che muoveva la sua tracklist dalla Sinfonia da Le maschere, opera mascagniana piacevole e levigatissima, a torto negletta (andate a sentire la registrazione live bolognese con Gelmetti!) per poi passare al brumoso Preludio dall'Atto III de La Wally di Catalani, e dal Sogno dal Guglielmo Ratcliff - altro Mascagni da rivalutare - al sospirato danzare dell'Intermezzo dell'Atto II di Adriana Lecouvrer, stringata e leggiadra pagina di Cilea; per concludere con il popolarissimo Intermezzo dalla Cavalleria rusticana.
Direttore sensibilissimo, ma anche orchestra perfettamente a piombo, che sprizzava gioia nel poter suonare finalmente dopo tanto tempo davanti al pubblico. Pochino, in verità: per ora una fila sì ed una no, un posto sì, due no. Pazienza! «Ha da passà ’a nuttata», sospirava il grande Eduardo in Napoli milionaria.