Lo spettacolo risulta di rara ricercatezza, e per varie ragioni. Chiara Tarabotti monta una drammaturgia fluente e di buona presa visiva.
Arminta, Alcina, Ciro, Didone, Eumene, Griselda... l'elenco dei melodrammi di Tomaso Albinoni ammonta ad una cinquantina di titoli. Ingente produzione che purtroppo non è giunta fino a noi, salvo qualche aria sparsa e Zenobia, regina de' Palmireni, la cui integrale partitura è conservata a Washington.
Opera presentata ora al Teatro Comunale di Treviso in una versione arricchita - sei scene ed arie in più - rispetto a quella presentata al Teatro Malibran di Venezia lo scorso febbraio, in prima moderna.
Solo una partitura salvata, le altre perdute
Zenobia, fra l'altro, è la prima opera teatrale di Albinoni, intonata su libretto di Antonio Marchi quando ancora si considerava un agiato “dilettante in musica”. I rovesci finanziari lo costringeranno, più avanti, a farne invece una vera professione. Ricca di finissime idee musicali e curatissima nel trattamento armonico, con personaggi ben dotati di un proprio carattere, venne messa in scena nel 1694 con notevole successo, eminente esempio del prolifico e prospero sistema produttivo veneziano sei-settecentesco.
Un gioiello inaspettato, che fa rimpiangere amaramente la perdita delle altre sue sorelle. Basandosi sulla recente revisione critica di Franco Rossi, il lavoro di accurata e fantasiosa concertazione di Francesco Erle evoca la presenza in orchestra di qualche suonatore orientale: idea non peregrina vista l'ambientazione del lavoro, e considerato che a Venezia sostava una nutrita colonia di commercianti turchi. Ed il doge Francesco Morosini – omaggiato post mortem da questo melodramma - aveva riportato come trofeo di guerra, al rientro da una fortunata campagna bellica, gli strumenti d'una banda di giannizzeri ottomani.
Ecco dunque inseriti nell'organico dell'ottima Orchestra Barocca del Conservatorio B. Marcello certi strumenti della tradizione mediorientale come il qanun, con il risultato di allargare musicalmente così la gamma dei colori, e plasmare un tappeto strumentale di rara suggestione.
Il barocco veneziano in uno spettacolo di grande presa
Ad un manipolo di giovani esecutori il compito non facile di dar vita i personaggi. Zenobia è il soprano brasiliano Ligia Ishitani; Aureliano il controtenore Danilo Pastore; Ormonte il baritono Alfonso Zambuto; Filidea un altro soprano brasiliano, Michele De Coehlo; Cleonte il mezzosoprano Giuseppina Perna, Silvio il soprano cinese Ying Quang, Silvio il basso Luca Scapin. Ho lasciato per ultimo il sopranista Federico Florio (Lidio) perché la preparazione tecnica, l'aderenza allo stile e la fluidità argentina della voce meritano una menzione speciale.
Lo spettacolo risulta di rara ricercatezza, e per varie ragioni. Chiara Tarabotti monta una drammaturgia fluente e di buona presa visiva; sulla scena, curata da Serena Rocco, troviamo collocati insieme, su più gradienti, cantanti e strumentisti, sullo sfondo solo l'accenno d'un profilo turrito; mentre il gioco di luci disegnato da Roberto Gritti rimarca a perfezione situazioni ed emozioni. Gli immaginifici costumi di Carlos Tieppo sono direttamente ispirati ai barocchi figurini d'epoca; persino il direttore Erle è bardato con un grande caffettano dorato. Magari non comodo, ma certo d'effetto.