Il romanzo Zoo nonostante il successo e le parole di grande elogio spese per la sua autrice Isabella Santacroce, è un testo non proprio originale, nel quale l'autrice fa raccontare in prima persona, a una giovane donna misogina e sessista (ma non siamo sicuri siano "difetti" voluti...), dell'amore (platonico) per il padre e dell'odio (carnale) per la madre, alternando momenti di intima partecipazione, quando la voce narrante descrive senza censure la sua cattiveria, quell'onnipotenza egotista dell'infanzia dalla quale non è mai davvero uscita, a commenti più prevedibili (la madre, accusata di essere una troia perchè veste abiti femminili nonostante sia mamma, la cui colpa è di lavorare in un negozio di moda e lasciare le incombenze del ménage casalingo al padre che, si sa, in quanto maschio, ne viene umiliato) e meno sinceri.
C'era da temere che i difetti del romanzo si spostassero anche nella riduzione teatrale. Parola inadeguata per l'operazione che Giovanni Franci è riuscito a compiere. Senza tradire il romanzo di Santacroce, Franci ne asciuga gli eccessi, ne esclude il sessismo e il maschilismo quel quanto che basta per non dare troppo fastidio, elimina ogni ingenuità, ogni caduta di stile del romanzo, e presenta allo spettatore un monologo di 50 minuti di durata, essenziale, implacabile, che non lascia scampo.
Alessia Innocenti, che firma la regia assieme a Corrado Russo, incarna questa bimba mal cresciuta, costruendo anche sul contrasto tra il proprio corpo di donna e quello da adolescente mai cresciuta della protagonista che interpreta, una regia essenziale, minimalista, rafforzata da alcuni oggetti feticcio che provengo dal buio della scena spoglia vera, e si fanno metafora di una coscienza assente, di un disagio ad esistere della protagonista (della quale non viene mai detto il nome) e del suo percorso che da bambina irretita dal fascino paterno diviene una giovane paralizzata che si nutre dell'odio per la madre, accusandola di aver causato la morte del padre.
Se Zoo, il romanzo, ha fatto parlare soprattutto per il tema dell'incesto, tra madre e figlia, Zoo, lo spettacolo teatrale, parla di un'anima femminile, di una presenza ectoplasmatica, ed eterea sulla scena proprio quanto carnale e umano è il racconto delle sue vicissitudini e del riverbero esistenziale che hanno sulla sua protagonista. Dove il mostro, quel tarlo che le arrovella l'anima e non le permette di essere prima ancora che di crescere, è un ispessimento dell'animo umano, una decadenza morale che può capitare a ognuno di noi, il memento per un vizio dell'esistere che ci riguarda tutti.
Giovanni Franci ce lo racconta senza morbosità, senza furbizia, senza alcun espediente narrativo, potendo contare su un'interprete che sa restituire l'afflato di una storia costruita con la sacralità della liturgia, una liturgia dell'essere al mondo cui corrisponde un esempio elegante e riuscitissimo di liturgia teatrale, di un teatro dove la parola crea la scena anche con le sue pause e i suoi silenzi, incarnati da un'attrice che si dà, corpo e voce, alla pièce.
Prosa
ZOO
Zoo: Giovanni Franci meglio di Isabella Santacroce
Visto il
03-09-2010
al
India
di Roma
(RM)